Matteo 22, 41-46
Mentre i farisei erano riuniti insieme, Gesù chiese loro: «Che cosa pensate del Cristo? Di chi è figlio?». Gli risposero: «Di Davide». Disse loro: «Come mai allora Davide, mosso dallo Spirito, lo chiama Signore, dicendo: Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici sotto i tuoi piedi? Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?». Nessuno era in grado di rispondergli e, da quel giorno, nessuno osò più interrogarlo.
Il brano di oggi parte da una domanda posta da Gesù, come se invitasse ciascuno e ciascuna di noi a rispondere singolarmente: è sicuramente una sua caratteristica quella di chiamarci ad essere protagonisti nell’ascolto della Parola, prendendosi cura di noi con affetto; e imparare a stare davanti alle sue domande, significa che io mi lascio coinvolgere contemporaneamente nella mia libertà e nel Suo amore.
L’interrogativo che pone non è una frase qualsiasi: è come se non accettasse nella risposta individuale una citazione, un “sentito dire”, una “frase fatta”: fa da eco il silenzio dei farisei, come se in questa assenza di parole e di repliche ci fosse l’opportunità di accogliere il dono della grazia.
La mia fede in Gesù, quindi, non può essere il risultato di interpretazioni razionali o di conoscenze approfondite di libri: mi chiede di compromettermi con una risposta personale, con un “Sì” per tutta la vita, con il mistero e la grandezza allo stesso tempo di porre con pazienza e costanza ogni mio dubbio nella Sua domanda.
– Chi è per me Gesù oggi: colui che ha un grande potere o un grande cuore?
– A quale tipo di Comunità appartengo: ad una Chiesa forte e con ruoli prestigiosi o ad una Chiesa accogliente e misericordiosa?
– Quando mi sento una persona che si ferma all’apparenza e quando sono un uomo/una donna in un cammino di Vita liberante?
Ringrazino il Signore per la sua misericordia,
per i suoi prodigi a favore degli uomini;
poiché saziò il desiderio dell’assetato,
e l’affamato ricolmò di beni. (Sal 106)