“Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”.” (Matteo 20,1-16).
“Gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi.” É questa la conclusione e il significato della parabola del padrone buono.
Gesù ritorna a spiegare il significato del regno dei cieli. E lo fa raccontando la storia del padrone di casa che va alla ricerca di lavoratori per la sua vigna. Con i primi si accorda per un lavoro a giornata per un denaro.
Il padrone non trova lavoratori a sufficienza. Li cerca per strada, a mezzogiorno e perfino alle cinque del pomeriggio.
Sembra quasi di immaginare il racconto di una semina di lavoro senza poter riscontrare l’accoglienza della importante proposta.
Quello che colpisce non è tanto la bontà del padrone quanto il fatto che i primi che vanno a lavorare alla vigna si lamentano verso il padrone perché quelli arrivati per ultimi, hanno ricevuto lo stesso compenso. Pensavano di avere più degli altri.
Il padrone non fa preferenze questa é la logica evangelica e ribalta, come sempre le attese: i primi diventano ultimi e gli ultimi, primi.
La questione aggiuntiva è legata al vero peccato dei “primi”: come dice il profeta Ezechiele (34,1-11) “Guai ai pastori d’Israele, che pascolano se stessi!” Il vero rischio è l’autoreferenzialità. Questo dobbiamo temere.