13/09/2021 – S. Giovanni Crisostomo

Lc 17, 1-3a
Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «È inevitabile che vengano scandali, ma guai a colui a causa del quale vengono. È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. State attenti a voi stessi!».

Questo brano si apre con un impatto forte, dovuto alla durezza dell’immagine che Gesù utilizza per condannare lo “scandalo”.

In queste due righe Gesù ci dice tre cose importanti e determinanti per la nostra vita cristiana: 
– E’ inevitabile che in qualche modo, per qualche ragione, nella nostra vita terrena ci scontreremo con innumerevoli scandali, di ogni entità e genere. Ed è importante, fondamentale riconoscerli come tali, come situazioni che allontanano l’uomo dalla missione più alta che il Signore ci consegna, che è quella di amarci di più, sempre di più.
Ed è lecito, se non fondamentale, concederci di provare primariamente rabbia e indignazione davanti allo scandalo;

– L’accento posto è sui “piccoli”. I piccoli sono i nostri bambini, ma sono anche coloro che non sono ancora radicati nella fede, ma all’inizio di un cammino. I piccoli sono i fragili, i deboli. E guai a chi si occupa di educarli al male e non al bene, ponendo davanti a loro
esempi di atteggiamenti impuri o ipocriti, colmi di valori vuoti che li potrebbero indurre ad innamorarsi di idoli fasulli e non di Dio;

 – Voi stessi! Noi stessi, discepoli di Gesù, siamo i primi a dover vigilare sul nostro modo di stare al mondo e verificare continuamente di non stare “scandalizzando” nessuno con la nostra ipocrisia, piccolezza, superficialità. Guai a noi se invece di testimoniare l’Amore di Dio sperimentato qualche volta, ci concentriamo a promuovere atteggiamenti di rabbia, irriconoscenza e disonestà. Guai a noi quando le nostre giornate non finiscono con un esame di coscienza sincero e profondo. Guai a noi quando ci allontaniamo dai sacramenti
e non ricerchiamo il perdono del Signore, unica via per vivere nella fede. 

Ci rassicura pensare che il vangelo non finisce così. A seguito di queste righe severe e dure, il Signore apre la porta al perdono, che prorompente irrompe nella vita di ciascuno da parte del Signore. Certamente la sfida più grade è riconoscerne di averne bisogno e
ricercarlo. 
E anche aprire la porta del nostro cuore e, fraternamente, perdonare il fratello che ha commesso scandalo dopo di noi. 

_Cosa è per me lo scandalo? Penso a delle volte in cui degli esempi sbagliati mi hanno fatto vacillare.
_ Riconosco delle volte in cui il mio esempio è stato negativo, “di scandalo” per le persone affidateci?

Grazie Signore, perché il Tuo perdono è sempre più grande delle nostre piccolezze.
Perdonaci per quando non siamo stati all’altezza del ruolo che ci è dato, delle persone che ci sono affidate.

12/09/2021 – 2ª Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni

Giovanni 5, 37-47
Il Padre che mi ha mandato, egli stesso ha reso testimonianza di me. La sua voce, voi non l’avete mai udita; il suo volto, non l’avete mai visto; e la sua parola non dimora in voi, perché non credete in colui che egli ha mandato.

 

 

Voi investigate le Scritture, perché pensate d’aver per mezzo di esse vita eterna, ed esse sono quelle che rendono testimonianza di me; eppure non volete venire a me per aver la vita!
Io non prendo gloria dagli uomini; ma so che non avete l’amore di Dio in voi.

 

 

Io sono venuto nel nome del Padre mio, e voi non mi ricevete; se un altro verrà nel suo proprio nome, quello lo riceverete. Come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene da Dio solo?

 

Non crediate che io sia colui che vi accuserà davanti al Padre; c’è chi vi accusa, ed è Mosè, nel quale avete riposto la vostra speranza. Infatti, se credeste a Mosè, credereste anche a me; poiché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come crederete alle mie parole?»

Da una prima lettura di questo brano mi stupisce, innanzitutto, il tema “dell’essere fermi” sulle proprie posizioni: sembra che Gesù stia evidenziando e ammonendo i Giudei (e probabilmente anche me!) di non rimanere attaccati e stabili sulle proprie idee, ma di rendersi docili e in cammino verso la relazione con il Padre (e, di conseguenza, con i fratelli).

Se non c’è una mia effettiva disponibilità e propensione a lasciarmi toccare il cuore, la voce di Dio non potrà giungere in me: è una parola di verità quella che può davvero essermi d’aiuto ed è la mia responsabilità quella che viene chiamata all’appello. Se riesco veramente a chiedere allo Spirito la grazia per riconoscere e accogliere l’amore del Padre, allora anche le realtà più faticose troveranno un senso.

Credere, quindi, significa proprio lasciare andare le mie pretese di possedere le soluzioni per tutto e abbandonare le maschere che spesso indosso, per dire di sì alla verità di essere figlio amato: ed è la logica del Vangelo che può dare a ciascuno di noi quello spunto e quel salto di qualità che allontana le apparenti certezze di un mondo vacuo.

– In che modo posso accogliere oggi l’amore di Dio per me?
– Di quale parola buona mi nutro quotidianamente?
– Penso ad un’occasione in cui ho testimoniato l’amore del Padre: che cosa mi ha spinto a farlo e che cosa mi ha trattenuto, invece, in altri momenti in cui non sono riuscito ad essere testimone?

Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto.
Il suo regno è regno di tutti i secoli, il suo dominio si estende ad ogni generazione. (Sal 144)

11/09/2021 – Sabato della 1ª Settimana dopo il Martirio di S. Giovanni

Matteo 19,27-28
In quel tempo. Pietro disse al Signore Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?».

 

 

E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele».

Seguire Gesù significa capire che la gioia non viene dall’avere ma dall’ essere.

Il Signore ci chiede di essere noi stessi nella fede e nell’ottica della condivisione. Le parole di Gesù sono rivolte anche a noi, tutti battezzati.

Ci chiede di “lasciare”, ovvero di ricordarsi che ciò che conta non è quello che si “ha“ , ma ciò che si “è”.
Difficile non essere presi dall’egoismo, dal successo, dal lavoro. Spesso ci lasciamo trascinare da questa società a volte opportunistica. Lasciamoci andare invece e sforziamoci di avere un cuore colmo, dedito al prossimo e al servizio. Questo ci renderà felici.

Porgimi orecchio, Signore, e ascoltami.
Salva il tuo servo, o Dio, che spera in te.
Abbi pietà di me perché sempre ti invoco.

10/09/2021 – Beato Giovanni Mazzucconi

Luca 16, 19-31
In quel tempo. Il Signore Gesù disse:

 

«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.

 

 

Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui.

 

 

Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.

 

Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.

 

Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.

 

 

E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”.

 

Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”.

 

Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Questo brano di Luca mi interroga sotto molti punti di vista. In primo luogo, infatti, vediamo che i protagonisti sono due figure contrapposte: da un lato c’è l’uomo ricco, che ha trascorso tutta la sua vita dedicandosi a banchetti e ad abiti di lusso, che alla fine viene condannato a un’eternità di sofferenza. Dall’altro lato invece c’è il povero, che dopo una vita di stenti viene ricompensato con la felicità eterna. Per entrambi il destino che viene loro dedicato sembra essere una conclusione naturale.

 
Eppure, la domanda che sorge in me è: il loro destino sembra una naturale conseguenza nella logica dell’uomo, ma non nella logica di Dio, ma allora com’è possibile che il Signore nella sua infinita misericordia non permetta al ricco di redimersi? E la risposta è sempre nel Vangelo: il Signore ha bussato più volte alla porta del ricco per offrirgli la redenzione, lo ha fatto nella veste del povero Lazzaro che stava alla sua porta in attesa di qualche briciola. Il ricco non è stato in grado di guardare al di fuori della porta della propria abitazione e ha preferito non andare oltre all’apparenza del povero mal vestito e coperto di piaghe.
 
Non solo, l’evangelista Luca evidenzia ancora di più come sia necessario tenere al centro del nostro sguardo il povero, chiamandolo col suo nome: Lazzaro. Non sappiamo invece il nome del ricco. E così il ricco che ha guardato con indifferenza Lazzaro che stava alla sua porta, rimarrà per l’eternità nell’indifferenza della solitudine: “tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono”.
 
E io, cerco di guardare “fuori dalla porta di casa mia”? Guardo a chi mi è accanto con indifferenza o gli rivolgo uno sguardo che proviene dal cuore? Preghiamo oggi per essere capaci di offrire misericordia ai poveri, ciascuno con il proprio nome, che bussano alla nostra porta perché solo così permetteremo alla misericordia del Signore di entrare in no

09/09/2021 – S. Pietro Claver

  • Lc 16, 16-18
    In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «La Legge e i Profeti fino a Giovanni: da allora in poi viene
    annunciato il regno di Dio e ognuno si sforza di entrarvi.

     

    È più facile che passino il cielo e la terra, anziché cada un solo trattino della Legge.

     

    Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio; chi sposa una donna ripudiata dal marito, commette adulterio».

    Decisamente difficile questo brano, per due caratteristiche che vi ritrovo: un certo ermetismo espressivo che, unito alla frammentarietà del discorso di Gesù, rende poco chiaro dove vuole condurre chi ascolta.

    Mi pare che ogni versetto presente nel brano si riferisca ad un argomento che sembra non legare assolutamente con il successivo o il precedente; in realtà, credo che il filo rosso che lega tutto sia il rapporto con la legge.

    In questo contesto, la Legge rappresenta in sostanza l’antico testamento, con le Parole contenute nel decalogo e poi arricchite da una miriade di prescrizioni che si sono sommate nel tempo.

    Gesù, in questo capitolo di Luca, sta lanciando una serrata serie di provocazioni ai dottori della legge che non accennano minimamente ad incarnare la legge stessa, scoprendone il cuore, si limitano alla norma.

    In questo brano usa tre espressioni secche e dirette: parla di Giovanni come profeta del regno di Dio che l’Avvento del Messia (Gesù stesso) spalanca per tutti, sottolineando che la condizione per entrarvi è…mettercela tutta! In sostanza arriva il momento della scelta per Dio e il suo regno, laddove se Dio ci ha creati senza il nostro consenso non può salvarci senza la nostra partecipazione attiva.

    Ancora: la Legge non viene abolita, non passa, non si distrugge, non si supera ma SI COMPIE con la vita di Cristo che mette se stesso al centro del rapporto tra Dio e l’uomo, fa da ponte tra il cielo e la terra, e con la sua Incarnazione nella nostra povera umanità riscatta tutto ciò che è umano, illuminandolo di una dignità nuova.

    Infine, l’esempio concreto, con una applicazione pratica di quanto espresso e che riguarda la gestione del legame matrimoniale: Gesù rimette a posto i benpensanti del suo tempo che avevano tirato a loro favore la norma che riguarda il ripudio della propria moglie e che , favorendo la mentalità maschilista dominante, permetteva di rispedire al mittente la malcapitata con estrema facilità e sostituirla come un oggetto senza troppa importanza.

    Gesù afferma con forza la dignità di ogni persona, elevando la donna, nella sua vocazione di sposa, che non può essere considerata
    oggetto “in scadenza” da sostituire a piacimento.
    Gesù rende Dio Padre prossimo alla nostra storia umana. Come non scoppiare di gratitudine?

    Signore, il tuo amore è nel cielo,
    la tua fedeltà fino alle nubi,
    la tua giustizia è come le più alte montagne,
    il tuo giudizio come l’abisso profondo. 

08/09/2021 – Natività della B.V. Maria

Matteo 1, 1-16
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.

 

 

Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda
generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò
Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da
Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.

 

Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Uria, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abia, Abia generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, Ozia generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechia, Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.

 

 

Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleazar, Eleazar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù,
chiamato Cristo.

Questa lunga genealogia di Gesù composta da serie di 14 generazioni ci ricorda un paio di cose molto semplici.

La storia della salvezza avviene di generazione in generazione, di padre in figlio la vita prosegue. Dio è Signore della Vita! Mistero grande che si svolge e si apre grazie a uomini e donne, in precisi contesti e luoghi, mai resta in astratto.

Mi viene in mente un amico che proprio in queste settimane sta cercando di ricostruire il proprio albero genealogico fino ai trisavoli ed oltre: a molti di noi (se non tutti) interessa capire la storia dalla quale deriviamo, conoscere i nomi, luoghi e date di chi ci ha preceduto e ha reso possibile “Misteriosamente” il nostro essere qui ed ora!

La stessa cosa avviene per il Figlio di Dio: la storia di Gesù inizia da Abramo, il primo uomo con cui Dio ha voluto stringere Alleanza. Nonostante la venuta al mondo di Gesù sia unica e del tutto singolare, Dio ha preparato la sua storia, fino a giungere a Maria sua Madre, di cui oggi ricorre la nascita. Lei, una donna come tutte, cresciuta tutta nella Grazia di Dio dentro la storia del popolo d’Israele, ha accettato con Giuseppe di far venire al mondo il Figlio di Dio. 

 

Preghiamo per la nostra Chiesa ambrosiana, il cui Duomo di Milano è dedicato a Maria nascente; per il nostro vescovo Mario chiamato a guidarla; per l’inizio del nuovo anno pastorale delle nostre Comunità; per tutti noi, che ci affidiamo a Maria rivolgendole le nostre preghiere, oggi come ogni giorno.

07/09/2021 – Beata Eugenia Picco

Lc 16, 1-8
In quel tempo. Il Signore Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e
questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento
dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.

 

L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.

 

 

Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.

 

 

Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza.

 

I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce».

Un Vangelo che sembra difficile da digerire, ma che, forse, può essere per ognuno di noi positivamente provocatorio.

Gesù sembra voler mostrare come il male, l’agire disonesto egoisticamente interessato sembra sempre battere alla distanza per quanto riguarda metodi e ingegno.

Dov’è la nostra “fantasia del bene”? Che fine ha fatto la nostra motivazione e la nostra voglia di aprire nuove strade di solidarietà, carità, benevolenza e attenzione verso il prossimo?
Dobbiamo sempre avere il desiderio inestinguibile del nostro cuore di sfondare i muri che il mondo moderno costruisce con la nostra fantasia del fare il bene per l’altro.

Cerco le modalità nella mia vita per dare spazio alla carità fraterna? Mi rendo disponibile nelle realtà di carità e nelle realtà ecclesiali per trovare strade per arrivare ai più bisognosi che sono sempre più prossimi a noi? Che spazio do alla carità concreta nella mia settimana?

06/09/2021 – Lunedì della 1ª Settimana dopo il Martirio di S. Giovanni

Lc 15, 8-10
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”.

 

 

Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte”.

Il vangelo di oggi è una delle parabole della misericordia che Gesù racconta rivolgendosi agli scribi e farisei.

Gesù li paragona a una povera donna o, qualche versetto prima, a dei pastori. Un bell’affronto per i “sapienti” del tempo.
Parole spiazzanti anche per noi oggi! A ognuno di noi sarà capitato di perdere qualcosa di importante e di mettere a soqquadro la casa per ritrovarla o setacciare palmo a palmo la zona dove abbiamo smarrito l’oggetto .

Ma per quanto si tratti di una cosa importante o sostanziale (come lo sono le monete di quella donna) qual è il loro valorerispetto a una persona?

Abbiamo la stessa cura nel cercare qualcuno che si è perso, nel riallacciare legami con amici che si sono allontanati? Sappiamo andare incontro a chi ha commesso grossi sbagli? Perché questo è il punto di questa parabola.

Dio viene a cercare ciascuno di noi, proprio quando siamo nelle nostre condizioni peggiori, quando abbiamo commesso le peggio cose e non ci amiamo più né sentiamo uno sguardo d’amore su di noi. Dio è lì che ci aspetta. E non una volta sola! Ogni volta che ci perdiamo.

E una volta ritrovato il suo figlio tanto amato, la moneta preziosa, non tiene per sé la gioia ma la condivide con tutti! Gli angeli in cielo sono in festa!

Per ognuno di noi c’è uno sguardo di misericordia e una parola di bene: diventiamo annunciatori di
questa grazia e condividiamo la gioia con la nostra comunità, i vicini di casa, la famiglia, i colleghi.

05/09/2021 – 1ª Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni il Precursore

Gv 3, 25-36

In quel tempo. Nacque una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo alla purificazione rituale. Andarono da Giovanni e gli dissero: «Rabbì, colui che era con te dall’altra parte del Giordano e al quale hai dato testimonianza, ecco, sta battezzando e tutti accorrono a lui».

 

 

Giovanni rispose: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma: “Sono stato mandato avanti a lui”. Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo.

 

Ora questa mia gioia è piena.

 

 

Lui deve crescere; io, invece, diminuire».

 

 

Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza.

 

 

Chi ne accetta la testimonianza, conferma che Dio è veritiero. Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito.

 

Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa.

 

Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui.

In questa settimana stiamo conoscendo la testimonianza di Giovanni Battista.

Anche oggi le sue parole e tutta la liturgia ci invitano ad una conversione profonda: siamo richiamati alla responsabilità delle nostre parole e soprattutto delle nostre azioni.

Non basta credere a parole (“questo popolo si avvicina a me solo con la sua bocca e mi onora con le sue labbra, mentre il suo cuore è lontano da me”, Isaia 29,13), il Signore ci chiede l’adesione del cuore, cioè di tutta la vita.

Strepitoso il nostro Dio, perché non lo fa adirandosi stavolta, ma rincarando la dose di cura, attenzione, benevolenza, amore (“eccomi, continuerò a operare meraviglie e prodigi con questo popolo”, Isaia 29,14)! Uguale a ciò che faremmo noi!

Non si è “limitato” a “fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole” (Ebrei 12,18-19), ma ci ha convocati “all’adunanza festosa” e “all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli” (Ebrei 12,22-23).

Ci vuole proprio vicino a sé, fra i suoi cari, siamo noi i suoi amati!

Questo forse è il cuore sottinteso all’annuncio portato avanti dal Battista: credere nel Figlio dona gioia. Credo di poter riassumere così alcuni dei passaggi complicati del vangelo di Giovanni di oggi. (vv.35-37)

Infine, una parola sul grandioso il capovolgimento della logica vissuta da Giovanni: “Lui deve crescere, io invece diminuire”(v.30). Da qui nasce la parola “ministro”, che deriva appunto da “minus”, (meno). La sua grandezza sta nell’umiltà, il suo essere a servizio.

 

Preghiamo per tutti i ministri, ecclesiali e civili, perché siano a servizio del popolo di Dio e dei cittadini del mondo a qualunque popolo appartengano.

Chiediamo per noi il dono dell’umiltà, non quella finta modestia che irrita, ma quella che ci permette di riconoscere il posto che occupiamo, la vocazione e la missione che siamo chiamati a svolgere, così da avere la gioia della vita eterna che già quaggiù inizia!

04/09/2021 – Sabato della settimana della Domenica che precede il martirio di S. Giovanni

Giovanni 12,24-26
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: “In verità, in verità, io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.

 

 

Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.

 

Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà”.

Così papa Francesco commenta il passo del Vangelo odierno: “Gesù ha portato nel mondo una speranza nuova e lo ha fatto alla maniera del seme: si è fatto piccolo piccolo, come un chicco di grano; ha lasciato la sua gloria celeste per venire tra noi: è
“caduto in terra”. Ma non bastava ancora. Per portare frutto Gesù ha vissuto l’amore fino in fondo, lasciandosi spezzare dalla morte come un seme si lascia spezzare sotto terra. Proprio lì, nel punto estremo del suo abbassamento – che è anche il punto più alto dell’amore – è germogliata la speranza”.

Tutta la nostra vita sembra un continuo sforzo a cercare di rimanere vivi. Per amor proprio siamo disposti a sacrificare tutto. Ma non ci accorgiamo che questo atteggiamento ci fa vivere ripiegati su noi stessi e ci condanna ad una morte peggiore della morte stessa: rimanere soli.

Gesù ci invita continuamente a morire a noi stessi, non perché la morte sia una cosa bella ma perchè è l’unico modo per diventare davvero se stessi. Un seme è solo potenzialmente una spiga, ma solo quando muore lo diventa realmente. Ognuno di noi è potenzialmente felice, ma solo quando accetta di morire a se stesso lo può anche diventare realmente.

In fondo non è impossibile aderire a quello che Gesù ci chiede: non cerchiamo forse tutti qualcuno che ci indichi la strada? Diversamente, lasciati al caso, ci sentiamo smarriti e incerti. Ecco perchè Gesù ci chiede di seguirlo: non per toglierci la libertà ma per renderla possibile. Ecco perchè Gesù ci chiede di morire a noi stessi, al nostro egoismo: per ritrovare il verso senso della vita e la sua pienezza