26/01/2021 – S.S. Timòteo e Tito

«Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di D-o”.» (Luca 10,1-9).

La missione dei discepoli di Gesù é necessaria perché “la messa é molta e gli operai sono pochi”. C’è tanta gente che ha bisogno di essere guarita, di recuperare speranza, di trovare fiducia nella vita.

Il testo di Luca raccoglie in sé lo stile della missione.

Chi va in missione conosce la fatica, i rischi e il coraggio che bisogna avere per annunciare che il regno di D-o è vicino.

E allora il compito di chi deve annunciare la novità dell’Evangelo richiede uno stile di qualità: la preghiera, la sobrietà, il portare la pace, la convivialità  della mensa, il guarire chi è nel bisogno.

La missione quindi richiede capacità e resistenza. E come indicato nella 2ª Lettera a Timòteo (2Tm 1,1-8) Paolo ci ricorda: “D-o infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro … “.

La fede del credente nasce e matura non solo con la risposta aduna chiamata e la convinzione, ma nell’esperienza dell’annunciare con coraggio e forza la novità di trasformare la Parola in Vita e la Vita in Parola.

25/01/2021 – Conversione di San Paolo apostolo

“Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno.” (Marco 16,15-18).

La liturgia fa memoria della conversione di Paolo. É una conversione che sembra riguardare un fatto straordinario. Ma Paolo vive l’esperienza del “Convertitevi e credete al Vangelo” che é la consegna del Giovanni Battista a Gesù.

Paolo vive la sua conversione sulla via di Damasco. La conversione è un cambiamento non per un evento incredibile ma perché Paolo riconosce la presenza di D-o, la presenza di Gesù, nella sua vita. É in questa direzione che Paolo scopre il senso del suo cammino, del ritrovare la strada che lo riconcilia dopo la notte della sua storia personale.

E sappiamo quale è stato il cambiamento della chiesa grazie a Paolo. Quello che sembra impossibile è stato possibile: scacciare i demoni, parlare lingue sconosciute, accettare l’amarezza del male senza subirlo, offrire la forza dell’amore per guarire gli altri.

Abbiamo bisogno ogni giorno della conversione, del ritrovare la via di Damasco, per accogliere il Signore nella nostra vita e per annunciare la bellezza della sua Parola in tutto il mondo.

24/01/2021 – 3ª Domenica del Tempo Ordinario – Domenica della Parola

“Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».” (Marco 1,14-20).

Nella 3ª Domenica del Tempo Ordinario, dedicata alla festa della Parola, comprendiamo la ricchezza di alcune espressioni che ci aiutano a capire il senso della sequela, della via che Gesù ci ha consegnato.

“Il tempo si è fatto breve” (1Cor 7,29-31) non è una espressione tra le altre, non solo perché questo è il tempo propizio, ma perché non dobbiamo perdere l’occasione per disegnare la via che Giona ha tracciato ai cittadini di Nìnive: la via della conversione.

Ci sono molti motivi per accogliere l’invito di Gesù e di seguirlo. “Convertitevi e credete nel Vangelo”: non è uno slogan e nemmeno una esortazione. È semplicemente una necessità. E non solo per chi crede ma anche per chi non crede.

Questo è il tempo della redenzione, della necessità della salvezza. Non fosse altro per il disastroto ambiente che abbiamo defraudato, della violenza, del dominio, del possesso, del bastare a noi stessi. É tempo di convertirci per chi è  credente, la conversione è più pregnante: dobbiamo convertirci da quella strana idea di un D-o dominatore ed invece cogliere che D-o ama la vita e se ne prende cura.

Tutto questo preambolo trova corrispondenza in tre verbi nella sequela del Signore Gesù: gettare, riparare, lasciare.

Per essere discepoli-missionario, come ci ricorda papà Francesco, bisogna coniugare queste tre azioni.

Gettare vuol dire avere il coraggio del futuro, di scommettere. É la chiamata e la scelta di Andrea e di Simon Pietro.

Riparare significa prendersi cura della vita, appianare i conflitti e sanare le ferite. É la chiamata e la scelta di Giacomo e Giovanni.

Lasciare vuol dire non attaccarsi alle cose e alle persone, fare senza, vivere la sobrietà. É l’essenza del sentirsi chiamati ad una esperienza più grande.

23/01/2021 – Sabato della 2ª Settimana del Tempo Ordinario

“In quel tempo, Gesù entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare.

Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé».” (Marco 3,20-21).

L’Evangelo stringato che la liturgia ci presenta, racconta che Gesù é assalito dalla folla al punto da non poter nemmeno mangiare insieme ai suoi discepoli.

É chiaro che la fama di Gesù si è propagata non solo in Galilea, centro dei miracoli raccontati dall’Evangelo di Marco, quanto dal fatto che Gesù è considerato un guaritore, un santone.

E perfino i suoi parenti, venuti a sapere di quel che accadeva, lo considerano “fuori di testa”. E pure gli stessi scribi venuti da Gerusalemme considerano Gesù un indemoniato, uno, appunto, fuori di testa.

C’è da chiedersi: ma se Gesù guarisce e la gente lo segue significa che il Signore, il Padre, è con Gesù? É evidente che Gesù è nel Padre e il Padre in lui.

L’essere fuori di testa va spiegato. Quando siamo fuori di testa? Quando siamo appassionati, quando siamo innamorati, quando ci dedichiamo agli altri e ci prendiamo cura dei deboli. Allora siamo un po’ fuori, perché spostiamo il baricentro del nostro agire. Forse Gesù ci ha voluto dimostrare questo.

Dobbiamo anche dire che in tutto questo essere fuori di sé viene espresso il bene per quello è: Gesù, donando tutto il suo bene, ha donato se stesso.

22/01/2021 – Venerdì della 2ª Settimana del Tempo Ordinario

“Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè “figli del tuono”; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, figlio di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, il quale poi lo tradì.” (Marco 3,13-19).

Gesù chiama e i suoi discepoli diventati apostoli lo seguono. Stanno con Gesù che li prepara alla missione. Gesù vuole che stiano con lui. La missione non è mai al singolare ma sempre al plurale. Siamo in missione insieme, come comunità.

L’Evangelo ci riserva una sorpresa. Marco ci racconta che la storia della missione di  Gesù parte da una condivisione comune: quella che da soli non si evangelizza

E i nomi degli apostoli sono nomi di storie, di ricerca, di sfide! Sono storie di tristi fallimenti e di grandi entusiasmi. Sono però storie di chi sa osare, di chi ha scommesso.

Essere alla sequela significa avere la convinzione e il coraggio, ogni giorno, di trovare la via che conduce al Signore nei frammenti, nei piccoli segni, nelle piccole gioie che la vita ci riserva.

21/01/2021 – S. Agnese

“In quel tempo, Gesù, con i suoi discepoli si ritirò presso il mare e lo seguì molta folla dalla Galilea. Dalla Giudea e da Gerusalemme, dall’Idumea e da oltre il Giordano e dalle parti di Tiro e Sidòne, una grande folla, sentendo quanto faceva, andò da lui.” (Marco 3,7-12).

La barca diventa l’altare dal quale Gesù annuncia la presenza di un D-o misericordioso che guarisce i malati, sana le ferite, domina gli spiriti del male, dona speranza.

L’Evangelo di Marco che la liturgia offre alla nostra attenzione è localizzato sul mare di Galilea, dove tantissima folla si raduna per ascoltare Gesù e per essere guarita. I luoghi indicati nell’Evangelo sembrano fatti come un raggio di sole. La folla viene da Nord e da Sud, da Este e da Ovest.

La barca dove Gesù si pone sembra quasi sconfiggere la paura dell’acqua, della tempesta. Potremmo quasi pensare che la sua Parola diventi l’energia per affrontare l’impervio cammino dei tempi oscuri, della notte.

Eppure dalla mare di Galilea si sprigiona la forza di resistere contro il male, il dolore, la sofferenza umana. Noi diventiamo le sentinelle.

In questo tempo così carico di incertezza, Gesù è sulla barca insieme a noi per ricordarci che dalla Parola possiamo trarre la forza per combattere la paura del virus invisibile. La vita non si ferma, il mondo non si ferma!

20/01/2021 – Mercoledì della 2ª Settimana del Tempo Ordinario

“È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?” (Marco 3,1-6).

Gesù pone un Interrogativo centrale nell’Evangelo di oggi.  Nella sinagoga è presente un uomo con una mano paralizzata. Gesù chiede ai presenti se ha senso, nel giorno di sabato, fare il bene o il male. Non è una semplice provocazione in un contesto in cui farisei e erodiani contestano le azioni di Gesù.

Il sabato è un giorno sacro. Non si lavora, non si svolgono azioni che non siano quelle di dedicarsi al Signore. Nessun attività deve essere svolta. Ma perché allora Gesù pone la questione del bene e del male? Il motivo è apparentemente semplice. In ogni istante si può fare del bene ma anche del male. Una cosa è certa: bisogna sempre salvare una vita e quindi fare del bene.

Ed è proprio questo il nodo problematico. Il bene e la vita si dona non per fare un dispetto all’Altissimo ma perché D-o stesso è per il bene, la salvezza e l’amore. Quando si crede che D-o castiga si è proprio fuori strada.

Gesù guarisce nel giorno di sabato perché vuole aiutarci a crescere nella fede e nell’amore.

Gesù ha iniziato da poco la sua missione ma già ha dei nemici che vogliono la sua morte. É triste pensare che fare del bene possa produrre odio e desiderio di morte. Purtroppo questa è l’altra faccia di un cuore duro che si tramuta in male!

19/01/2021 – Martedì della 2ª Settimana del Tempo Ordinario

“E diceva loro: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato».” (Marco 2,23-28).

Ancora una volta i farisei contestano il comportamento dei discepoli di Gesù i quali mangiano le spighe perché hanno fame non rispettando il giorno di sabato.

É l’ennesimo rilievo teso a contestare non i suoi discepoli ma la missione di Gesù.

Il progetto di Gesù é quello di aiutare i discepoli a fare un percorso di avvicinamento alla fede, ad una fiducia che matura di giorno in giorno.

C’è ancora una volta una valutazione limitata del progetto di Gesù da parte della corrente dei farisei. Gesù infatti vuol farci capire che il modo di esprimere la fede non è fatto di ritualità ma che parte dal profondo del cuore di un credente.

Per ciascuno di noi, dunque, c’è l’impegno a coltivare un cammino di fede? La nostra fede è fatta a schemi e riti o è una fede nuda?

18/01/2021 – S. Margherita d’Ungheria

“Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!».” (Marco 2,18-22).

Quale é la missione di Gesù? Questo interrogativo è al centro dell’Evangelo di oggi e lo è sempre per ogni credente che cerca di essere alla sequela di Gesù.

La questione del digiuno è una delle pratiche fondamentali che va ben oltre gli aspetti religiosi. I discepoli di Giovanni e i farisei si chiedono come mai l’attività religiosa e spirituale di Gesù non prevede il digiuno per i suoi discepoli.

Gesù non disconosce la pratica del digiunare ma fa presente che bisogna guardare oltre e cioè vivere un digiuno che tenga conto del cammino di fede di ogni persona. I suoi discepoli digiuneranno quando lo sposo non sarà con loro.

Ma nemmeno questo è sufficiente a far o capire ai suoi interlocutori che la missione é quella di raccogliere le pecore sperdute della casa d’Israele e che ci vuole pazienza.

Per questa missione bisogna offrire un cambio di paradigma. É questo il  programma di Gesù: mescolare le cose e non mettere pezze. Il significato è comprensibile per chi sa fare spazio al Buon D-o e non rivendica posizioni di privilegio. Per questo Gesù chiede maggiore convinzione a quelli che lo seguono.

17/01/2021 – 2ª Domenica del Tempo Ordinario

“In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.“ (Giovanni 1,35-42).

La Parola, in questi giorni, ci ha raccontato le molte chiamate dei discepoli di Gesù. E in questa domenica scopriamo una chiamata un po’ particolare, meditando L’Evangelo di Giovanni. Andrea, discepolo del Battista, dopo aver udito le sue parole, insieme a Simone suo fratello, seguono Gesù.

La chiamata di Pietro e Andrea è favorita dall’annuncio del Battista. Assistiamo ad un invito a proseguire la missione di conversione. Ed è Gesù stesso ad interrogarli. Sembra che voglia accertarsi delle loro convinzioni e dei loro valori.

Ci sono varie espressioni che ci indicano il senso della sequela e della missione Gesù.

Gesù chiede ai due discepoli: “che cercate?” É una domanda tagliente che ha molti significati. Ed è una domanda che vale anche per noi, oggi. Che cosa cerchiamo nel seguire Gesù? Qual è la nostra fede nel Signore?

Alla domanda di Gesù segue l’interrogativo di Andrea e Simon Pietro: “Dove rimani?” La questione di fondo nella nostra fede è quella di capire dove e come testimoniarla. Che abito diamo alla nostra fede? Che cosa resta della nostra fede?

“Venite e vedrete!” Gesù invita Andrea e Simon Pietro a seguirlo, da subito. Il “vedrete”, verbo al futuro, ci indica che c’è strada da fare. Non si capisce tutto subito. Pensando a noi: quanto riduciamo la fede a schemi, a perimetri, a geometrie?

Andrea poi accompagna suo fratello Simone da Gesù indicandolo come il Messia. È molto significativa l’espressione evangelica: “fissando lo sguardo” su Simone figlio di Giovanni, Gesù cambia il suo nome: ti chiamerai Pietro. Sarebbe interessante immaginare questo incontro con una traduzione in aramaico.

Per noi oggi cambiare nome significa dare una svolta alla nostra vita. Lasciare quello che abbiamo abitato fino ad oggi per abitare in una casa di pietra, di roccia.