01/10/2019 – S. Teresa di Gesù Bambino

Luca 20, 20-26
Si misero a spiarlo e mandarono informatori, che si fingessero persone giuste, per coglierlo in fallo nel parlare e poi consegnarlo all’autorità e al potere del governatore. Costoro lo interrogarono: «Maestro, sappiamo che parli e insegni con rettitudine e non guardi in faccia a nessuno, ma insegni qual è la via di Dio secondo verità. È lecito, o no, che noi paghiamo la tassa a Cesare?». Rendendosi conto della loro malizia, disse: «Mostratemi un denaro: di chi porta
l’immagine e l’iscrizione?». Risposero: «Di Cesare». Ed egli disse: «Rendete dunque quello che è di Cesare a Cesare e quello che è di Dio a Dio». Così non riuscirono a coglierlo in fallo nelle sue parole di fronte al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero.

All’interno di questo brano di Vangelo troviamo il chiaro intento di mettere in difficoltà Gesù: essi sperano che egli, appartenendo a un mondo totalmente altro, rinneghi apertamente l’autorità terrena, fornendo loro così una facile imputazione d’accusa. (Se Gesù rispondesse alla loro domanda con un “sì” si rivelerebbe un collaborazionista, un traditore del popolo; se rispondesse con un “no”, potrebbe essere accusato di ribellione).

Ma Gesù, ancora una volta li e ci stupisce, lasciando intendere con una naturalezza inaspettata che si può vivere da figli di Dio, all’interno di questo mondo. La sua risposta è, infatti, «Rendete dunque quello che è di Cesare a Cesare e quello
che è di Dio a Dio».
Come ogni frase evangelica va letta all’interno del suo contesto, va letta come una risposta scaltra (che non contraddice per esempio i passi evangelici dove Gesù dice: “Non potete servire due padroni …”), che non contrappone piano spirituale e temporale, come vorrebbero i suoi interlocutori, ma che li pone nel giusto ordine gerarchico.

Gesù fa tirare fuori una moneta (lui non la possiede … tutto sommato non è cosa che lo riguarda direttamente la questione) e mostra l’immagine che vi è impressa: Cesare. Se, dunque, questa moneta appartiene a Cesare, va a lui restituita; ma gli uomini, a chi “appartengono”? Se noi siamo immagine di Dio, a lui dobbiamo anche restituire tutto ciò che gli appartiene, tutto noi stessi.

Vivere da figli di Dio, come Lui, significa, dunque, vivere nel rispetto delle leggi terrene, senza dimenticare, che il piano di Dio, però, è più alto e più importante. Gesù ci richiama alla necessità di dare il giusto peso alle cose e alle situazioni, ma soprattutto all’importanza di vivere onestamente e correttamente in questo mondo.

La famosa “Lettera a Diogneto” diceva: “Siate nel mondo, ma non del mondo”, nel senso che non dobbiamo immischiarci con esso, cedere alle sue logiche spesso malate e perverse, però nello stesso tempo dobbiamo farne parte con onestà e rettitudine. Il cristiano non è un alienato, altrimenti non è credibile. Gesù stesso non lo era, ma ha vissuto da “uomo”, portando nel mondo, nella legge ebraica, nella tradizione, la sua novità dell’essere Figlio di Dio.

Come vivo all’interno della logica di questo mondo? Intuisco che la correttezza, l’onestà, la legalità sono essenziali per farne parte, ricordandomi, però, nello stesso tempo che io trovo senso nell’essere parte di un progetto più grande, che è la costruzione del Suo Regno?

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