30/09/2019 – S. Girolamo

Luca 20,9-19

Disse allora il padrone della vigna: “Che cosa devo fare? Manderò mio figlio, l’amato, forse avranno rispetto per lui!”. Ma i contadini, appena lo videro, fecero tra loro questo ragionamento: “Costui è l’erede. Uccidiamolo e così l’eredità sarà nostra!”.

In questa parabola i contadini prima cacciano i servi del padrone e poi ne uccidono il figlio, per diventare loro stessi padroni e prendersi l’eredità, cioè il comando della vigna e non c’è nessuno di loro che si oppone all’idea di ucciderlo.
Non sono bastati i profeti che si sono avvicendati nei secoli a far capire agli uomini che c’è un Padre che li ama e li accudisce; ora sono pronti anche ad uccidere il Figlio di Dio.

Mettersi al posto di Dio e decidere cose grandi, che a volte riguardano l’umanità intera, è ormai una condizione frequente per cercare di far emergere la propria potenza in campo politico, ambientale, etico. Si conta molto sulla propria influenza sul prossimo, ci si sente onnipotenti, appunto.

La voce dalla Chiesa, intesa come comunità di fedeli, e non solo come clero, è forse ancora troppo flebile nel far sentire le proprie idee su decisioni così importanti per tutti. Più nel nostro piccolo, ci si fa giustizia da sè quando ci si sente offesi oppure si vuole che altri facciano quello che vogliamo noi, a partire magari dai nostri familiari.

“Che cosa devo fare? Manderò mio figlio, l’amato, (forse) avranno rispetto per lui”.
Quel “forse” indica che il padrone spera che i contadini risparmino il figlio, lascia loro la libertà di decidere il da farsi.
Anche noi dobbiamo ogni giorno decidere il da farsi: affidarci a Dio come “pietra angolare” che tiene in piedi l’edificio del nostro agire.

“Ti rendo grazie, perchè mi hai esaudito,
perchè sei stato la mia salvezza.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta testata d’angolo;
ecco l’opera del Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.”
(Dal Salmo 118)

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