29/07/2019 – S. Marta

Luca 9, 37-45

In quel tempo. Quando furono discesi dal monte, una grande folla venne incontro al Signore Gesù. A un tratto, dalla folla un uomo si mise a gridare: «Maestro, ti prego, volgi lo sguardo a mio figlio, perché è l’unico che ho! Ecco, uno spirito lo afferra e improvvisamente si mette a gridare, lo scuote, provocandogli bava alla bocca, se ne allontana a stento e lo lascia sfinito. Ho pregato i tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti». Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa, fino a quando sarò con voi e vi sopporterò? Conduci qui tuo figlio». Mentre questi si avvicinava, il demonio lo gettò a terra scuotendolo con convulsioni. Gesù minacciò lo spirito impuro, guarì il fanciullo e lo consegnò a suo padre. E tutti restavano stupiti di fronte alla grandezza di Dio. Mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini». Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.

 

Chissà che esperienza di paradiso e di Gloria di Dio avevano fatto sul monte della trasfigurazione, per poi essere catapultati ancora nella realtà del mondo con le sue fatiche e le sue brutture….ma la Gloria di Dio non si manifesta con frizzi, lazzi ed effetti speciali, perché l’essenza della Gloria di Dio, il suo peso specifico è la misericordia, è la carità, è l’Amore e non è facile per noi, poveri tapini, credere fino in fondo e in modo costante e continuativo ad un Mistero così grande!

Gli stessi discepoli non avevano saputo guarire l’indemoniato…forse perché non ci credevano fino in fondo…  E poi Gesù che si arrabbia!!! Mi piace pensarlo come noi, sfatando certi cliché di un Cristo edulcorato e fuori dalla realtà! Invece, Gesù è pienamente uomo e divinamente Dio, che con parole semplici e dirette dice chiaro e tondo il motivo della sua missione, cioè la donazione totale e deliberata di sé per noi uomini e donne di tutti i tempi, perché è un Dio amante, innamorato perso di ciascuno di noi! E come ha detto lui…: mettiamocelo bene in testa una buona volta!        Dalle stelle del monte Tabor, alle stalle della nostra povera umanità, dunque!

Menomale che c’è Gesù a rimettere il Bene in prima linea! E noi, mendicanti del suo Amore, chiediamo occhi per vedere la Sua potenza operante nella nostra vita e nella nostra umanità, che vicino a Lui si colma di bellezza!                   Buona settimana!

28/07/2019 – 7ª Domenica dopo Pentecoste

Giovanni  6, 59-69


Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga a Cafarnao. Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?». Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra voi che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E continuò: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio». Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

La Parola di oggi appare già dalle prime righe come esigente, difficile da comprendere, senza “mezze misure”: penso che ad ognuno/ognuna di noi sia successo almeno una volta di pensare al fatto che spero che la Sua Parola possa risolvermi i problemi; e invece, come si legge in questo brano, si aprono molte
domande più che avere delle risposte.
“Volete andarvene anche voi?”: questa è quella che mi risuona principalmente (con il verbo “andare” ripetuto più volte in poco). Gesù non fa complimenti, non ha paura di rimanere da solo, si esprime in maniera chiara e diretta: emerge il suo senso di non preoccuparsi per i numeri, ma di avere a cuore la qualità dei suoi discepoli … e, quindi, anche la mia!

Forse questa frase si rivolge proprio a me, per non farmi rimanere quieto nelle mie abitudini e sicurezze fatte di ritualità, di compromessi e di assuefazione al mondo.
La Sua sequela, quindi, è una responsabilità seria, feconda (se cercata e anelata davvero), creativa (se mi sento aperto al mistero del Padre): a me, a noi, camminare con libertà verso la verità.

– Mi metto nei panni di Pietro di fronte a Gesù; che risposta gli do quando mi chiede: “Forse anche tu vuoi andartene?” … e dove andrei?
– Mi è capitato di trovare “dura” qualche pagina di Vangelo? Come ho vissuto questa
sensazione/esperienza?
– Potrebbe aiutarmi l’ascolto dello Spirito? In quale misura sono disposto a lasciarmi modellare da lui?

 

Non a noi, o Signore,
non a noi,
ma al tuo nome da’ gloria,
per la tua bontà e per la tua fedeltà (Sal 115)

27/07/2019 – S. Pantaleone

Giovanni 14,15-23 

“Se mi amate osserverete i miei comandamenti; (…) Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui.”
 
 
 
Leggendo questo Vangelo mi colpiscono inizialmente le relazioni di premessa-effetto disseminate un po’ per tutto il testo; Gesù comincia il suo discorso proprio con una frase del tipo: SE fate una certa cosa, ALLORA il risultato sarà questo..
Questo inizio mi fa pensare alle condizioni necessarie per poter stare nella relazione d’amore con il Signore, quasi ci fosse una sorta di lista di caratteristiche da avere o dei livelli da completare.
Questa condizione necessaria è indicata nell’ascolto, l’osservanza, l’ACCOGLIENZA (termine che personalmente preferisco) dei comandamenti, della Parola di Gesù.
 
 
Ad una lettura più approfondita mi sembra che tra questa accoglienza e l’Amore del Padre non ci sia una così rigida relazione causa-effetto, ma piuttosto penso che le due condizioni si legano e si richiamano reciprocamente, mantenendo l’importanza originale e alla pari di entrambi gli elementi.
Mi sembra, dunque, che si dica qui: se camminerai sulla strada dell’accoglienza della Parola avrai modo, in questa ricerca, di sperimentare l’Amore del Padre… ma è vero allo stesso modo il “contrario”: se sperimenterai l’Amore del Padre ti verrà naturale ricercare l’ascolto della sua Parola.
 
 
Questo legame di reciprocità mi rimanda ad un legame simile, quello della Trinità;  nella relazione tra Padre, Figlio e Spirito Santo non spicca alcun elemento per importanza e tutte e tre le persone sono in relazione, si influenzano e si richiamano tra di loro.
Un passo in più, infine, mi sembra l’estensione di questa influenza virtuosa tra le persone della Trinità a coloro che cercano la relazione con il Signore, come è scritto alla fine del brano: Giuda sembra proprio chiedere a Gesù “Perché ci doni questi privilegi, perché noi siamo così importanti?” e Gesù risponde richiamando il rapporto tra Padre e Figlio non in senso esclusivo (voi siete fuori), ma in senso pienamente inclusivo: mi manifesteró a voi, sentirete di farne parte!

26/07/2019 – S.S. Gioacchino ed Anna

Luca 9, 23-27

In quel tempo. Il Signore Gesù, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso? Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell’uomo quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli
angeli santi. In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto il regno di Dio»

“Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso prenda la sua croce e mi segua”.
Oggi il Signore ci invita ancora una volta a prendere posizione. E la posizione è dietro di Lui, non davanti: dietro perché possiamo davvero seguirlo e mettere i nostri piedi dove li mette lui.

Vivere la sequela è un dono gratuito che il discepolo è chiamato ad accogliere.
Occorre scegliere la direzione della nostra vita; Gesù sta andando a Gerusalemme, verso il dono completo della sua vita.
Ci invita ad avere il Suo stile di apertura, compassione, di perdono, di misericordia.
Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù, ci ricorda la lettera ai Filippesi (2, 5-11).

Io dove sono diretto, verso Gerusalemme con Gesù?
Cosa mi impedisce di decidermi radicalmente per Gesù?

 

25/07/2019 – S. Giacomo apostolo

Matteo 20,20-28

In quel tempo. Si avvicinò al Signore Gesù la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: “Voi non sapete quello che chiedete”. (..) Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo.

 

Eccoli allora presentarsi a Gesù per dirgli ciò che pensano di “meritare” per l’avvenire. È una pretesa più che una domanda, fatta da chi ragiona esattamente come tante volte facciamo noi nel quotidiano: le relazioni contano, dunque occorre rivendicare il loro peso…
E questo non avviene solo tra noi uomini e donne, perché anche nei confronti di Dio
vantiamo pretese: siamo noi i credenti, siamo noi i cristiani, dunque presso Dio dobbiamo avere una precedenza sugli altri…
Vi è qui lo scontro tra due visioni della gloria: i due discepoli la intendono come successo, potere, splendore, mentre Gesù l’ha appena indicata nel servizio, nel dono della vita, nell’essere rigettato in quanto obbediente alla volontà di Dio.

La comunità di Gesù è immagine delle nostre comunità: uomini e donne chiamati da Gesù; uomini e donne che sovente mostrano di avere poca fede o  addirittura incredulità; uomini e donne fragili e deboli che a volte non riescono a comprendere le parole di Gesù, le esigenze della sequela, e dunque contraddicono la loro vocazione e la loro identità.

Allora Gesù li chiama tutti e dodici intorno a sé e dà loro una lezione molto istruttiva. Dice: “Voi sapete”, perché basta guardare, osservare, “che coloro i quali sono considerati i governanti delle genti dominano, spadroneggiano su di esse, e i loro capi le opprimono”.
Attenzione, Gesù non dice: “Tra voi non sia così”, facendo un augurio o impartendo un
comando, ma: “Tra voi non è così”, ovvero, “se è così, voi non siete la mia comunità!”. Non è possibile che la comunità cristiana abbia come modello il potere mondano, che si lasci conformare a ciò che fanno i governi, quasi sempre ingiusti e spesso totalitari: il governo nella comunità cristiana è “altro”, oppure non è governo, ma dominio.

Ecco dunque la vera “costituzione” data alla Chiesa: una comunità di fratelli e sorelle, che si servono gli uni gli altri, e tra i quali chi ha autorità è servo di tutti i servi. Nella chiesa non c’è possibilità di acquisire meriti di anzianità, di fare carriera, di vantare privilegi, di ricevere onori: occorre essere servi dei fratelli e delle sorelle, e basta!

Il fondamento di questa comunità è proprio l’evento nel quale il Figlio dell’uomo, Gesù, si è fatto servo e ha dato la sua vita in riscatto per le moltitudini, cioè per tutti.

24/07/2019 – S. Charbel Makhluf

Luca 9, 10-17
In quel tempo, al loro ritorno, gli apostoli raccontarono al Signore Gesù tutto quello che avevano fatto. Allora li prese con sé e si ritirò in disparte, verso una città chiamata Betsàida. Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. […]. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». […] Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

 

La moltiplicazione dei pani è collocata dall’evangelista dopo un’esperienza di missione dei discepoli, che pare abbia portato buoni frutti e suscitato grande entusiasmo in loro. Proprio nel momento del successo, Gesù prende con sé i suoi e si ritira in disparte con loro. Si tratta di un’esperienza interiore di grande intimità con il Maestro, un dialogo fecondo. È solo questa intimità con il Signore, l’essere con Lui che rende fecondo il nostro discepolato e che fa accorrere le folle, crea comunione e comunità nei luoghi della vita.

La folla, affamata di una parola autentica, prima ancora che di cibo, raggiunge il ritiro di Gesù e dei discepoli, si fa domanda di vita. Nell’ora in cui il giorno inizia a declinare (la stessa ora dell’incontro dei discepoli di Emmaus col Risorto), i discepoli (quelli che erano tornati entusiasti dalla missione e forse pensavano di avere capito tutto) vorrebbero congedare le folle, “scioglierle” – dice il testo greco-, mentre loro compito sarebbe quello di accoglierle e radunarle.

Quante volte nelle nostre comunità siamo frettolosi e mettiamo in secondo piano l’accoglienza in nome di un presunto “primato della Parola”? Siamo davvero fedeli alla Parola, alla missione affidataci dal Signore?

Le parole di Gesù richiamano all’essenza della fede in Dio Padre: “Date voi stessi da mangiare!”.
L’ascolto della Parola non è più importante del pane: il pane è il frutto dell’obbedienza alla Parola. C’è, insomma, da farsi “pane” per gli altri, come Gesù ha fatto sempre nella sua vita e come ci ricorda ogni volta che partecipiamo all’Eucarestia.
Non ci sono calcoli da fare, non c’è da comprare nulla: ci sono da offrire fiduciosamente cinque pani e due pesci, ciò che siamo. Questo dono gratuito, nelle mani di Dio, si fa pienezza di vita per tutti, nessuno escluso.

Ecco il miracolo che rende feconda la vita quotidiana: farsi dono senza riserve, per tutti.
Si conserva il pane (la vita) dandolo e lo si moltiplica dividendolo.

 

In noi si dovrà trovare tutto il bicchiere d’acqua, il cibo per chi ha fame,
tutto il vero cibo per tutti i veri affamati,
tutti i veri cibi e tutti i veri mezzi per distribuirli,
l’alloggio per i senza tetto,
il pellegrinaggio alle carceri ed agli ospedali,
la compassione per le lacrime, quelle che si devono versare insieme
e quelle di cui occorrerebbe eliminare le cause,
l’amicizia per ogni peccatore,
per coloro che sono malvisti,
la capacità di mettersi al livello di tutte le piccolezze, di lasciarsi attrarre da tutto ciò che non conta,
e tutto avrà il suo orientamento, la sua pienezza, nella parola “fraterno”.
Infatti i nostri beni, se diventano i beni degli altri, saranno il segno della nostra vita donata per gli altri,
come assimilata di diritto alla loro, e che, in realtà, non deve più far parte dei nostri interessi… (M. Delbrêl)

23/07/2019 – S. Brigida Patrona d’Europa

Matteo 5, 13-16

Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella
casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.

Queste righe mi sono sempre sembrate bellissime e poetiche. Dicono l’essenza dell’essere cristiani: la testimonianza! Siamo chiamati ad essere sale, ad essere luce, ad essere lampada …
Nei versetti precedenti troviamo in Matteo il discorso delle Beatitudini: “Beati, cioè felici, coloro che sapranno essere miti, umili, puri di cuore, misericordiosi …” e queste immagini si pongono, a mio parere, in perfetta continuità con le precedenti. Beati, felici di quella gioia piena che viene solo dal Signore, coloro che sapranno con la vita e con le opere farsi testimoni credibili del suo Amore.

Ma come è possibile? Per essere davvero luce per il mondo è indispensabile alimentarci della sua luce: “lampada per i miei passi è la tua Paola, Signore”. È indispensabile avere sempre l’umiltà di riconoscere che è da Lui, dalla sua Parola, dalla sua frequentazione intima e quotidiana, che attingiamo la luce; che nessun cristiano può brillare di luce propria o testimoniare se stesso, ma deve annunciare il Verbo fatto carne.

In questo periodo storico in cui sento sempre più urgente la necessità della testimonianza, intravedo, però anche la severità, oltre alla poesia, di questi pochi versetti. “Se il sale perdesse il suo sapore … a null’altro servirebbe che ad essere gettato via”. Credo, dunque, che come cristiani dobbiamo quotidianamente interrogarci su come oggi il mondo ci chieda di essere testimoni.

Come passa oggi la testimonianza dell’aver incontrato Cristo? Attraverso quali comportamenti, atteggiamenti gli altri possono riconoscere in me l’Amore del Signore? Come le nostre comunità si giocano in questa nuova evangelizzazione che ci è richiesta?

Chiediamo al Signore, con la bellissima preghiera del cardinale Newman la forza della testimonianza.

Stai con con me
e io inizierò a risplendere, come tu risplendi
a risplendere fino a essere luce per gli altri.
La luce, o Gesù, verrà tutta da te:
nulla sarà merito mio.
Penetra e possiedi tutto il mio essere,
così completamente che la mia vita non sia che un riflesso luminoso della Tua.
Risplendi attraverso di me, e sii così presente in me,
che ogni anima con cui vengo a contatto sperimenti
la Tua presenza nella mia anima.
Che alzino gli occhi e vedano non più me, ma Gesù soltanto!
Rimani con me, e allora comincerò a risplendere come Tu risplendi;
risplendere in modo da essere luce per gli altri.
Sarai Tu a risplendere sugli altri attraverso di me.
Fa’ che, così, io ti lodi nel modo che più ami:
risplendendo di luce su coloro che sono attorno a me.
Fa’ che ti annunci senza predicare,
non a parole, ma con l’esempio,
con una forza che trascina,
con l’influenza benevola di ciò che faccio,
con la pienezza tangibile dell’amore che il mio cuore porta per Te. Amen.

22/07/2019 – S. Maria Maddalena

Giovanni 20,1.11-18

In quel tempo. Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!» –. Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

 

E’ tanto impaziente, Maria Maddalena, di andare a pregare sulla tomba del suo Maestro che non aspetta nemmeno che si faccia giorno pieno per andare al sepolcro, ma lo trova inaspettatamente vuoto: il corpo di Gesù è scomparso.
Eppure Lui è lì, dietro di lei e la osserva mentre piange e si dispera, umanamente fragile, sconsolata, certa di aver perduto per sempre il suo più caro amico, colui che l’aveva accolta per quello che era e le aveva insegnato tante cose.

Anche lei, come tutti gli altri, non ha ben capito cosa intendesse esattamente Gesù
quando diceva che sarebbe tornato al Padre. Quando lei si volta sentendo una presenza dietro di sé lo vede ma non lo riconosce: lo scambia per il guardiano.
E’a questo punto che succede qualcosa di grandioso. Gesù la chiama per nome: “Maria”.

Credo che quello sia stato un momento, oso dire, magico per Maria Maddalena.
Chissà com’era la voce di Gesù, che timbro aveva. Deve aver pronunciato quel nome in un modo forse inspiegabile: dolcissimo, tenero, pieno di amore; quel modo che specialmente le donne sanno riconoscere ed apprezzare.
E Gesù conosce bene la psicologia femminile e dà molta importanza alle donne, al contrario di ciò che invece avveniva secondo il pensiero dell’epoca (e in tanta parte del mondo anche ai giorni nostri).

Quanta poesia in quel momento.

La sorpresa e la gioia di Maria nel rivedere il suo amato “Rabbuni” che in aramaico ha un significato più profondo e personale che “Maestro”.
Avrà forse trattenuto il fiato per l’emozione di ritrovarselo davanti.
Anche a me piacerebbe poter sentire fisicamente pronunciare il mio nome a quel modo dal Signore. Invece, bisogna avere una sensibilità uditiva diversa, più profonda, attenta ad ascoltare con il cuore, invece che con le orecchie, la voce di Gesù che ci chiama con amore nella nostra quotidianità, sia nei momenti di gioia che in quelli difficili; ci chiama per rassicurarci che è sempre presente, anche se noi siamo intenti a piangere sulle nostre piccole sconfitte, e ci chiede di riconoscerlo.

Mi piace infine pensare, da donna, che il Signore conti molto sulle donne per l’edificazione del suo Regno proprio per la loro natura a volte complicata, ma anche sensibile, materna, poliedrica, “multitasking” come si dice oggi.

Tu, Dio, che conosci il nome mio,
fa’ che ascoltando la tua voce
io ricordi dove porta la mia strada
nella vita, all’incontro con Te.
(dal canto “Vocazione”)

21/07/2019 – 6ª Domenica dopo Pentecoste

Giovanni 19,30-35

“..Gesù disse: “E’ compiuto!”. E chinato il capo, consegnò lo spirito.”

 

Nel periodo estivo, la liturgia ci fa ripercorrere le tappe della STORIA della Salvezza, che è sempre centrata su Gesù, ma essendo storia, parte da ben più lontano…oggi ci aiuta a capire meglio il nesso fra Prima e Nuova Alleanza, ricordandoci, dopo la Pentecoste, che il protagonista è lo Spirito.

Che cosa “è compiuto” in Gesù? proprio le promesse fatte al popolo di Israele! Nel duplice aspetto della fedeltà di Dio che fa ciò che dice e nella fedeltà del Figlio che realizza la volontà del Padre. È storia di Alleanza: “io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo” (Ebrei 8,10)

Se nei tempi antichi l’Alleanza è stata stipulata nel deserto e sul Sinai con il dono della Torah, la Parola di Dio, celebrata da Mosè e Aronne con il sangue del sacrificio sull’altare (“ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di queste parole” Esodo 24,8), con Gesù essa è rinnovata e portata a compimento sulla Croce (“ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco e subito ne uscì sangue e acqua” Gv 19,34). Dal costato di Gesù escono sangue e acqua, simboli dell’Eucarestia e dei sacramenti: qui nasce il nuovo popolo della Chiesa, là nel deserto nasceva Israele!

Ecco il nuovo dono della Nuova ed eterna alleanza: la consegna dello Spirito, presente nei sacramenti e nei cuori! Quello Spirito che prima di tutto è perdono delle infedeltà degli Ebrei un tempo, delle nostre ora (“io perdonerò le loro iniquità e non mi ricorderò dei loro peccati” Ebrei 8,12).

Lo Spirito completa la Legge, la purifica, le dà un senso nuovo e più profondo, allarga il cuore all’amore, è vita e comunione.

 

Chiediamo oggi la Grazia di saper accogliere il dono della salvezza che Gesù ci ha regalato dalla Croce: la sua stessa vita nello Spirito!

20/07/2019 – Sant’Apollinare

Luca 7,20-23

In quel tempo. Venuti dal Signore Gesù, i discepoli di Giovanni dissero: «Giovanni il
Battista ci ha mandati da te per domandarti: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo
aspettare un altro?”». In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da
infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: “I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia”. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».

Con l’animo pieno di confidenza nella bontà e nella misericordia del Signore, queste
parole ci danno tanta speranza, anzi è il Signore la nostra speranza.
Il mondo ha un profondo bisogno di certezza e di speranza: dobbiamo pregare e
riconoscere che solo il Signore dà risposta alle nostre attese.
La nostra umanità cerca la pace senza trovarla: se ci affidiamo all’amore, tutti noi
potremmo diventare più giusti.

Nella nostra società c’è tanta sofferenza, il nostro cuore non deve rimanere insensibile e il nostro amore ci deve far compiere piccoli “miracoli”. Ma molto spesso le vie proposte ci rimangono misteriose: dovremmo fidarci di più, pregare e credere più appassionatamente.

Con i discepoli di Giovanni Gesù è chiaro: “Andate e riferite: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo”.

Un conto è la fede dei libri e del catechismo, la fede delle asserzioni, e un conto è fare come Gesù che si prende cura dei poveri, dei più deboli, degli “scartati” di sempre e da tutti. Ci chiede molto, ma questa è la sola via: speranza, amore e perdono.