26/08/2018 – Domenica che precede il martirio di S. Giovanni il Precursore

“Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo… perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: voi valete più di molti passeri! (…) chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà… Chi avrà dato da bere anche solo un bicchiere d’acqua a uno di questi piccoli perché discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa” (Matteo 10,28-42)

Questa domenica la liturgia ci aiuta a interrogarci sul valore di noi stessi, della nostra fede, della nostra vita. Innanzitutto noi “siamo preziosi” agli occhi di Dio e per questo non dobbiamo avere paura di nulla (almeno due volte si ripete!), perché Dio è con noi! Lo esprime bene Paolo nella seconda lettura (2Corinzi 4,7-14) dopo tutte le vicissitudini e le difficoltà provate: “Siamo tribolati, ma non schiacciati; sconvolti ma non disperati; perseguitati ma non abbandonati; colpiti ma non uccisi” (v.8). Lui ha incontrato il Signore Risorto che lo ha perdonato, amato, gli ha cambiato la vita! Tutto quello che poi ha subito dagli uomini (che hanno il potere di uccidere il corpo) non è stato sufficiente per fargli perdere la fede. (dipende solo dalla nostra scelta, non da quello che gli altri ci possono fare; è una questione di amore, come ci ricordava ieri il Vangelo).

Ecco, allora, dobbiamo chiederci se anche noi siamo in grado di mettere Dio al primo posto, anche a costo di rinunciare alle “cose” più care che abbiamo (la vita, i figli..), come hanno fatto i fratelli Maccabei e la loro madre (2Maccabei 7,1-2.20-41). “Così anche costui passò all’altra vita puro, confidando pienamente nel Signore” (v.40).

Attenzione, non credo sia solo questione di rinuncia o di morire, in verità…. Dio non vuole che noi perdiamo la nostra vita…Si tratta piuttosto della capacità di donarsi per amore, per qualcuno! Così la vita acquista tutto un altro valore!

Chiediamoci per chi noi siamo disposti a donare…. almeno un bicchiere d’acqua….che non è molto (ma se penso a questi caldi giorni di estate, mi ricredo!!), ma è il segno di un’attenzione amorevole rivolta al prossimo, che ci fa uscire dal nostro pensare solo a noi stessi.

25/08/2018 – S. Luigi e S. Giuseppe Colasanzio

“…Il secondo è questo: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». Non c’è altro comandamento più grande di questi.” (Marco 12, 28a.d-34)

Di questo brano la prima cosa che mi salta all’occhio è la definizione dell’insegnamento di Gesù sull’amore; si parla infatti di AMORE non come passione fugace o slogan romantico ma come comandamento! Sembra un po’ stonato come accostamento, credo forse perché non si è abituati a pensare all’amore come qualcosa di definito o rigido: “in amore non ci sono regole, all’amor non si comanda!” sono appunto litanie pop fin troppo note.

Eppure affidarsi ad un comandamento per imparare ad amare e praticare questa “arte” non è poi così male, anzi! Dovrei considerare quanto fa bene alla mia vita scegliere delle regole per i vari contesti che la abitano, dare loro una direzione e un senso..
Regola, quindi, come senso profondo!

Ricordo poi di aver già ascoltato un commento a questo Vangelo, in particolare nel punto dove è scritto “come te stesso”.. questo amore per gli altri nella stessa uguale misura dell’amore che rivolgiamo a noi stessi implica che dobbiamo (è un comandamento, quindi DOBBIAMO!) amare noi stessi! Non leggo qui un invito all’auto compiacimento o al narcisismo; Dio per primo ci ha amati, perché non dovremmo considerarci davvero creature preziose?!

Ecco allora che riscoprendo l’amore ricevuto da figlia, ricambio con altrettanto amore verso Dio e verso gli altri.
Concretamente amare il prossimo richiede un bel po’ di attenzioni.
Credo sia il percorso di una vita che si arricchisce anche dell’esempio dei fratelli stessi!
Non sai mai quanto amore ricevi dal prossimo mentre tenti, anche tu, di farlo sentire amato!

24/08/2018 – San Bartolomeo, apostolo

“Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret». Natanaele gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaele gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho
visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaele: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!». Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».” (Giovanni 1,45-51)

L’incontro con Gesù è contagioso e genera una catena di testimonianze. Filippo incontra Natanaele e gli rivolge le stesse parole che Gesù ha rivolto ai primi discepoli. E’ la missione per contagio: l’annuncio che suscita la ricerca, la verifica, lo stare insieme.
Infatti, Natanaele pur essendo impegnato nello studio delle Scritture, (il fico è paragonato all’albero della scienza del bene e del male) inizialmente mostra un certo scetticismo di fronte alle indicazione fornitegli. La conoscenza di Gesù sgorgherà dall’incontro con Lui, dall’ascolto della sua Parola, dal mettersi alla sua sequela e dal dimorare con Lui.

Gesù è il luogo in cui Dio si manifesta e si comunica agli uomini, lui è la nuova casa di Dio. L’apertura dei cieli ormai è un fatto permanente: non più la scala di Giacobbe ma il Figlio dell’Uomo è il luogo in cui Dio si manifesta e comunica con gli uomini.
Inoltre, la correttezza della ricerca sta nel porsi sulla strada giusta, disposti a percorrerla ovunque essa conduca.

Lo Spirito di Dio ci doni la forza di non rinchiuderci dentro a un progetto, ma di aprirci alla libertà di una persona: Gesù!

23/08/2018 – Santa Rosa da Lima

“Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò” (Luca 14,1-6)

Il Vangelo di oggi ci presenta la guarigione di un uomo affetto da idropisia nel giorno di sabato. Il primo elemento che colpisce è il contesto: Gesù si trova a casa di un capo dei farisei per il pranzo. Egli, quindi, non rifiuta nemmeno l’invito dei suoi avversari, di coloro che “stavano ad osservarlo” (v.1) per mettere alla prova la Sua aderenza ai precetti. Il Maestro porta la novità del suo messaggio anche a questi “uomini giusti”, ma per farlo deve smascherare il male che si annida nel loro cuore: è il peccato di autosufficienza che rende ostili alla grazia e alla misericordia di Dio, un peccato che inchioda alla norma invece di aprire alla Parola che salva. Una seconda riflessione meritano i tre verbi con cui viene descritta l’azione di Gesù:
prendere per mano (l’iniziativa dell’incontro viene da Lui ed esige prossimità, vicinanza, quindi
coinvolgimento anche da parte dell’uomo), guarire (Gesù riconosce la sofferenza dell’uomo che ha di fronte e riversa su di lui la Sua misericordia; non è solo una guarigione fisica, riguarda anche la sua anima ferita dall’emarginazione) e congedare (nel Vangelo non si dice che l’idropico ringraziò Gesù, non a parole almeno, ma nel saluto del Maestro è possibile scorgere la speranza in un cambiamento di vita che si faccia sequela).

Grazie Signore per la Tua ostinazione, per il tornare a bussare alle nostre porte chiuse “persino di sabato”! Aiutaci a superare la brama di bastare a noi stessi, a “sgonfiarci” dalla paura della libertà, che il Tuo amore ci offre.

22/08/2018 – B. V. Maria Regina

“In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!». ” (Luca 13, 34-35)

In questo brano dove Gesù piange per la città di Gerusalemme, ma anche per tutti noi, emerge in modo chiaro la sua incapacità di non amare, di staccarsi da noi. Sembra dire: quante volte ho voluto far sentire questa tenerezza, questo amore, come la chioccia con i pulcini e voi avete rifiutato…..

Dio il potente, il creatore che può fare tutto, si rivela fragile e debole nell’amore: lui non può non amarci e quando noi ci allontaniamo da lui, quando agiamo secondo il male, Dio piange per me, per ciascuno di noi.

Ho fatto esperienza di questo grande Amore di Dio per me? Ho sentito il suo abbraccio quando mi sono riavvicinato dopo un periodo di allontanamento?

21/08/2018 – S. Pio X

“In quel tempo. Il Signore Gesù diceva: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami». E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata.” (Luca 13, 18-21)

Che belle le parabole di oggi, ci aiutano a capire com’è il regno di Dio.

E’ piccolo, è un seme che deve essere gettato, non deve essere tenuto per noi.
C’è infine un’altra caratteristica che ha indicato il Papa nelle sue catechesi a Santa Marta: la docilità.
Il regno di Dio è in cammino, in trasformazione, il lievito non rimane lievito, si mescola con la farina e diventa pane. La farina è docile al lievito. Anche il seme perde la sua entità di seme e diventa fecondo, dà vita all’albero.

Aiutaci Signore ad essere docili all’azione del Tuo Spirito, a diventare anche noi lievito che fermenta nelle nostre giornate con un sorriso, una gentilezza, un abbraccio.

20/08/2018 – S. Bernardo

“C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da 18 anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta. Gesù la vide, la chiamò a sé…” (Luca 13,10-17)

18 anni accartocciata su se stessa…! Il solo pensiero fa mancare il fiato… Non ha nome questa donna (potrebbe essere il mio, oppure il tuo…), né chiede niente a Gesù, che la vede, la chiama a sé, le impone le mani e la guarisce ridonandole salute e dignità.
Sono i gesti che ritroviamo nei Sacramenti: segni efficaci della Grazia di Dio, cioè la vita stessa di Dio che si riversa abbondantemente in noi. Per fare cosa? Per renderci felici!
Anche quella donna si mette a lodare Dio e mi immagino che contentezza, che salti di gioia avrà fatto, che felicità finalmente!
Gesù pone al primo posto la persona, mettendo in chiaro che la legge è per l’uomo e non viceversa.
L’amore di Dio è liberante e risanante e non si può relegare in schemi e moralismi che soffocano l’azione dello Spirito che è quella di renderci felici, perché consapevoli di essere amati teneramente.

Gesù ci vede, ci chiama a sé e impone le sue mani su di noi ogni volta che ci accostiamo a uno dei Sacramenti. Quante volte, dopo averne ricevuto uno, il nostro cuore è scoppiato di felicità?
Non è mai troppo tardi per cominciare…lo Spirito soffia…!!!

19/08/2018 – 13ª Domenica dopo Pentecoste

“Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga». Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma dì una parola e il mio servo sarà guarito. … All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!».” (Luca 7, 1b-10)

Il centurione di questo brano è descritto come un uomo buono: sa essere vicino alla gente, ha collaborato al finanziamento della sinagoga, prende a cuore le sorti di un suo servo.
E Gesù si stupisce di quello che di lui si racconta!
Il centurione mette in gioco parole di umiltà e di fiducia suscitando in Gesù meraviglia: è bello toccare con mano le parole che il Signore pronuncia per lui.
Riflettendo su di me, com’è bello pensare che egli possa commuoversi davanti ai miei gesti pieni di ricerca e di abbandono!
E com’è importante intravvedere che questi gesti di fede non provengono necessariamente da un credente, da un devoto, ma anche da un centurione, forse un po’ ai margini della religiosità.
Il percorso di quest’uomo può essere il mio: mosso da estrema necessità, avendo ascoltato da altri il potere di guarigione di Gesù, cosciente della propria impossibilità di accedere a lui, in tutta la sua trasparenza ricorre alla mediazione di altre persone: nel riconoscere il senso di miseria/impotenza che si intreccia con la misericordia, nasce la fede. Una fede concreta in un volto e in una Parola.

– Quanto sono aperto/a a scoprire in coloro che hanno fatto altre scelte di vita rispetto alla mia, i valori che la persona possiede e lasciarmi sorprendere da essa?
– Quale tipo di fede pongo nella Parola?

18/08/2018 – Sabato della 12ª Settimana dopo Pentecoste

“Pietà di me Signore, figlio di Davide!” (Matteo 15,21-28).

Sono parole pronunciate da una donna pagana in situazione di estrema difficoltà. Intuisce nella persona di Gesu’ il salvatore finale. Ma Gesu’ all’inizio mostra una diffidenza e durezza impropria. La donna ha una fede forte che supera le barriere degli uomini. Sta riponendo una grande fede in Gesu’ ed è mossa da un amore grande grande. Non si da’ per vinta. Ha percorso un cammino lungo e questo presuppone una fede sincera e concreta, tanto che arriva a chiedere, a supplicare e ad invocare Gesù di guarire sua figlia, con una briciola della Sua grazia, come se fosse un cane che lecca sotto al suo tavolo.

Gesu’ nel suo infinito amore “accoglie “ la richiesta della donna. Noi riusciamo a chiedere, con
la stessa fede e lo stesso amore, di guarire i nostri fratelli o ci fermiamo a giudicarli? Noi non siamo migliori di nessuno. Abbiamo tante colpe, pregiudizi, e commettiamo tanti errori. Impariamo a cogliere la positivita’ e a perseguire i giusti insegnamenti.
Da questo episodio del Vangelo possiamo trarre l’invito ad avere quell’atteggiamento interiore di “apertura “ verso tutti, credenti o no, cioè disponibilità e accoglienza senza riserve verso tutti gli uomini.

Non respingermi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo Santo Spirito.
Rendimi la gioia di essere salvato,
sostieni in me un animo generoso. (sal 50)

17/08/2018 – S. Massimiliano Maria Kolbe

“..Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?». Ma quello gli rispose: «Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai.»” (Luca 13,6-9)

Un uomo ha piantato con fatica un fico nella propria vigna e con tanta fiducia ogni estate viene a cercare i suoi frutti, ma non ne trova. Spinto da quella delusione ripetutasi per ben tre anni, pensa dunque di tagliare il fico, per piantarne un altro. Chiama allora il contadino che sta nella vigna e gli esprime la sua frustrazione, intimandogli di tagliare l’albero: perché deve sfruttare inutilmente il terreno e rubare il nutrimento ad altre piante? Tutti noi comprendiamo questa decisione del padrone della vigna, ispirata dal nostro concetto di giustizia retributiva e meritocratica: non si paga chi non dà frutto, mentre gli altri si pagano proporzionalmente al frutto che ciascuno dà!
Ma il contadino, che lavora quella terra, ama ciò che ha piantato, per questo osa intercedere presso il padrone: “Signore (Kýrie), lascia il fico per un altro anno, perché io possa ancora sarchiarlo e concimarlo, con una cura più attenta e delicata. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, tu lo taglierai!”. Promette al padrone di prendersi particolare cura di quell’albero infelice; in ogni caso, lui non lo taglierà, ma lo lascerà tagliare al padrone, se vorrà…

Stanno l’una di fronte all’altra, la giustizia umana retributiva e la giustizia di Dio che non solo contiene in sé la misericordia, ma è sempre misericordia, pazienza, attesa…
Attenzione però: il frattempo termina per noi con la morte; speriamo che non termini l’intercessione di Gesù Cristo!