11/10/2017 – San Giovanni XXIII

“Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione».” (Luca 11,1-4).
La vita spirituale, diremo oggi, la preghiera in un luogo solitario, l’intimità del dialogo con D-o é stata sempre la forza interiore che ha alimentato la missione e l’annuncio di Gesù. I discepoli ne sono rimasti ammirati, tanto che uno di loro chiede a Gesù di insegnare loro a pregare, come ha fatto Giovanni Battista.
In quel momento di fraterna amicizia e condivisione, quasi di intimità spirituale, Gesù propone ai suoi la bellissima preghiera del Padre nostro. A rileggerla e rileggerla si scopre la profondità di questo inno all’unico Signore.
Osiamo immaginare che questa preghiera, un po’ più stringata in Luca, sia stata recitata in aramaico o in ebraico, per dare più significato all’incontro confidenziale con il Padre. Osiamo pensare che la sua composizione poetica sia il frutto di citazioni bibliche radicate nell’animo umano di Gesù.
E ripensando alla sua composizione ci viene normale pensarla come una libera traduzione dei due grandi precetti: amare D-o e amare l’altro da noi, il nostro vicino, il nostro prossimo.
Preghiamo sempre il Padre nostro perché é una preghiera umana e divina che anche un non credente può recitare perché tocca le corde dell’umano. E noi sappiamo che ciò che é pienamente umano è pienamente divino.

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