“Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui.” (Giovanni 14,21-24).
Pochi versetti ma molto densi, come spesso capita per il vangelo giovanneo, che sarà anche difficile ma è tutto da gustare. Il legame tra l’accoglienza di Gesù, l’osservare i comandamenti e l’amare Dio sembra arduo da comprendere, eppure, se ci fermiamo, possiamo intuirlo anche noi: se vogliamo bene a qualcuno, rispettiamo la sua parola e la sua volontà. Per di più, il Dio di Gesù Cristo è Amore e i suoi comandamenti dicono “ama Dio con tutto te stesso e il prossimo come te stesso”. Insomma segno della nostra fede in Gesù è che siamo disposti ad amare i fratelli che incontriamo, chiunque siano. Ce lo insegna il brano odierno degli Atti: allora non ci si poteva più fermare a considerare fratelli solo gli ebrei, ma lo Spirito aveva ormai raggiunto tutti, perfino Cornelio, un romano pagano, che poi infatti si converte, crede, si battezza nel nome di Gesù; ciò avviene di fronte allo stupore dei discepoli, che evidentemente non avevano ancora compreso appieno la parola di Gesù, e operavano ancora distinzioni fra i fedeli in base alla loro provenienza. Sappiamo che il primo “concilio” di Gerusalemme è sorto per risolvere questioni di questo tipo. Ma se “Dio non fa preferenze di persone ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga” (Atti 10,34), mi chiedo perché oggi ancora noi siamo bravissimi a dividere “vicini e lontani”, “i nostri e i loro”, “noi e gli altri”, riferendoci a quelli della parrocchia a fianco, a chi non crede, a chi è straniero… etc etc. E’ pure sconvolgente e intrigante pensare che “se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Giovanni 10,23): Dio ha posto la sua tenda, shekinà o dimora, in mezzo a noi, se noi ci amiamo gli uni gli altri. Noi, quando vogliamo bene agli altri, siamo capaci di mostrare la presenza di Dio, non perché siamo bravi o migliori di altri, ma perché “è Dio che suscita in voi il volere e l’operare secondo il suo disegno d’amore” (Filippesi 2,13). Dio è amore e donandoci la sua forza, cioè il Suo Spirito, ci rende capaci di amare, non solo quelli che ci amano, ma tutti.
Non ci resta che ringraziare Dio, ciascuno pensando ai legami di amore che ha costruito nella sua vita, grazie al dono dello Spirito che ha ricevuto, a partire dal battesimo e con ogni sacramento ricevuto. Non accontentiamoci, però, di quel che abbiamo! Sentiamoci responsabili di testimoniare quotidianamente il dono ricevuto, impariamo a non fare distinzioni, perché agli occhi di Dio tutti meritano il Suo bene. Perché ha scelto di “manifestarsi a noi e non al mondo” (Giovanni 10,22)? Per amore!