“Mentre il Signore Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?» … Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». ” (Marco 10, 17-22)
Altrove lo si descrive come un giovane, qui invece è genericamente “un tale”: tutti possiamo immedesimarci in quest’uomo inquieto che si interroga su quale sia la sua vocazione, quale senso dare alla sua vita, per non sprecarla, perché sia eterna, per non avere rimpianti.
Ha sempre interpretato la religione come un elenco di precetti da assolvere, ma sente che questo non gli dà gioia: è una tristezza “buona”, perché funge da campanello d’allarme. Gesù si innamora di questo credente che si trova sulla soglia di un salto di qualità nella fede: passare dal moralismo alla sequela. E gli spalanca un orizzonte nuovo: gli propone di ritornare libero nei confronti del denaro, di mettersi a servizio dei poveri e di seguirLo.
Ma il tale è colto da una tristezza “cattiva”, perché consapevolmente rinuncia ad una fede vissuta con radicalità, e finisce per ricadere nella mediocrità: accade forse anche a noi?