27/08/2017 – 12ª Domenica dopo Pentecoste

“Gesù disse loro: quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio”. E rimasero ammirati di lui.” (Marco 12,13-17).
Questa risposta finale di Gesù è diventata proverbiale e utile nella fede cattolica per affermare la separazione fra potere temporale e spirituale. Ma c’è molto di più a mio avviso.
Intanto, farisei ed erodiani (alleati al potere romano) vogliono “cogliere in fallo” Gesù (versetto 13), quindi toccano la questione del potere, dei soldi, delle tasse, in un certo senso a chi l’uomo deve rendere conto. Qui emerge il vero significato della risposta di Gesù: certo, gli uomini si occupano di cose politiche, economiche, ma non sono questioni di poco conto, interessano tutta la vita concreta delle persone, perciò in ultima analisi non possono essere scollegate dalla logica di Dio! Infatti “quel che è di Dio” (Marco 12,17) in realtà è ogni cosa, non solo cose che noi possiamo superficialmente riferire allo “spirito”, inteso come disincarnato dalla realtà. Tutto è di Dio! Ogni cosa per essere buona deve essere conforme al suo volere. Anche noi non dobbiamo cadere nell’errore di dividere realtà terrena e realtà celeste, mentre è chiaro che certi ambiti, politico ed ecclesiastico per esempio, devono avere campi d’azione separati (dividere non è lo stesso di separare!).
Ma, ripeto, in gioco c’è anche la vera signoria: Cesare o Dio? La risposta potrebbe essere facile: certo che noi ci affidiamo a Dio…ma le scelte quotidiane in che direzione vanno? Che cittadini siamo? Siamo onesti e cerchiamo la giustizia? Quella terrestre non è separata da quella divina. È brutto che il movente dei farisei non sia il desiderio di conoscere veramente cosa sia giusto fare, ma con ipocrisia sia il desiderio di far sbagliare Gesù, fare del male, giudicare…quante volte anche noi facciamo domande interessate, con un secondo scopo, non per la sete di conoscenza di verità. Badate che i farisei dicono il vero su Gesù: “insegni la via di Dio secondo verità” (Marco 12,14). E Gesù, che conosce la verità, risponde a loro con finezza.
Mi chiedo se il nostro parlare tende alla verità o far cadere in errore gli altri, per essere pronti a vantarci noi o prendere il posto altrui. Rifletto sulle relazioni che vivo: cerco di andare a fondo con dialoghi di condivisione o mi fermo alla superficialità di cose di poco conto? Come vivo il mio essere cittadina? È slegato dalla mia fede o cerco con coerenza la giustizia nella vita di tutti i giorni, anche per gli altri? Sono capace di scelte coraggiosi, forti, fedeli come i fratelli Maccabei nella prima lettura (1Maccabei 1,10. 41-42. 2, 29-38), che non hanno rinunciato alla fede a costo della vita, e hanno saputo riconoscere ciò che è giusto? O come San Paolo (Efesini 6,10-18), consapevole del “combattimento” che dobbiamo vivere, sappiamo portar avanti i valori in cui crediamo da cristiani nella vita quotidiana? Su suo suggerimento, preghiamo e armiamoci di verità, giustizia, fede, salvezza, Spirito, “pronti a propagare il Vangelo della Pace” (Efesini 6,14-16).

 

 

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