In quel tempo. Gli scribi e i capi dei sacerdoti si misero a spiare il Signore Gesù e mandarono informatori, che si fingessero persone giuste, per coglierlo in fallo nel parlare (…) «È lecito, o no, che noi paghiamo la tassa a Cesare?». (…) «Rendete dunque quello che è di Cesare a Cesare e quello che è di Dio a Dio». (Luca 20, 20-26)
Gesù si imbatte in un episodio sgradevole, in cui si insinuano malizia, finzione, volontà di cogliere in fallo… il tutto dentro a una cornice politica ed economica insidiosa. Qualunque riposta Gesù avesse dato alla provocazione posta, sarebbe risultata scandalosa: se avesse riposto di dare il soldo a Dio, sarebbe stato indicato come sobillatore sociale, se a Cesare come complice del dominatore.
Spesso anche nei dibattiti in TV e nelle discussioni tra noi, in generale, non si dialoga per cercare la verità, non si considera l’altro come alleato per ragionare insieme – pur nella diversità – ma si cerca piuttosto di mettere in scacco l’altro, attaccare le sue parole, girare la frittata a proprio favore…
Eppure Gesù smaschera questa domanda mal impostata coinvolgendo chi, in malafede ma pieno di lusinghe, gliel’ha tesa: “mostratemi un denaro”. Se i suoi interlocutori l’hanno in tasca, vuol dire che la loro scelta l’hanno già fatta! E poi, come sempre, Gesù cerca di riportarci alla radice teologica delle questioni, e al primato di Dio: il soldo può anche avere l’immagine del dominatore, ma ricorda che tu stesso sei immagine di Dio, e dunque tutto a lui devi restituire – non in termini di cose ma di esistenza e dedizione.