“Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.” (Giovanni 10,1-10).
L’Evangelo di questa 4ª domenica di Pasqua ci aiuta a capire quale é il tipo di presenza di D-o per ogni uomo ed ogni comunità e luogo di vita.
É evidente che Gesù usa una similitudine legata al suo tempo per contestare il modo con il quale i Giudei si sono impadroniti della comunità, dello stesso popolo d’Israele, del Tempio. Quanto esprime Gesù può essere tenuto ben presente anche nella nostra realtà di oggi. La tentazione di utilizzare il potere, sia esso religioso o di altro tipo, per interesse e non per servizio, riguarda qualsiasi tipo di organizzazione sociale.
Ebbene Gesù ci spiega concretamente chi é il pastore, qual é il suo ruolo e quale significato ha la sua presenza.
Innanzitutto chi é Gesù? É la porta, ovvero é colui che serve la vita della sue pecore. Si entra e si esce dalla porta per vivere l’intensità di una relazione familiare e comunitaria.
Se la porta rimane chiusa non si genera relazione.
Ma é molto interessante e pedagogico quello che Gesù dice nell’Evangelo: il pastore ascolta la voce di ciascuna pecora e di tutte le pecore, le chiama per nome, le conduce fuori al pascolo, cammina davanti a loro e viene riconosciuto dalla sua voce.
Riconoscere il Signore significa in conclusione sapere che non siamo delle persone anonime ma vive e amate.
Il monito di Gesù in questo cammino pasquale é quello di riconoscere la presenza di D-o nella nostra vita e di non farci abbindolare dai ladri e dai briganti, da una ‘generazione perversa’ che si rivolge ad altri dei per soddisfare solo i propri bisogni egoistici (Atti 2,14.36-41).