08/11/2019 – Venerdì della 31ª Settimana del Tempo Ordinario

“Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.” (Luca 16,1-8).

Gesù ha cercato di mettere al centro della propria predicazione l’attenzione ai poveri ed emarginati d’Israele, l’importanza di essere discepoli e la necessità di una vera conversione nel riconoscere la presenza del Signore.

L’Evangelo di oggi che racconta dell’amministratore infedele ci fa cogliere alcuni aspetti della missione dei discepoli di Gesù: avere il coraggio di osare e trovare sempre tutte le soluzioni possibili nell’incontro con l’altro.

Perché il padrone loda l’amministratore infedele? Non certo per le sue qualità amministrative che sono deficitarie, quanto piuttosto per la sua capacità di mettersi in relazione con i debitori rinunciando ad un guadagno personale.

L’amministratore con il super sconto verso ogni singolo debitore ha il coraggio di osare pur di evitare un futuro da persona grama. Non sa lavorare la terra e si vergogna di mendicare. Per una volta si accorge delle proprie incapacità.

C’è però un secondo passaggio che l’amministratore fa. Pur pensando di trovare una soluzione ai suoi problemi, per una volta, si mette nei panni degli altri, dei debitori. In modo scaltro condivide la loro situazione.

La conclusione dell’Evangelo rivela la differenza tra coloro che guardano al proprio tornaconto e coloro che hanno attenzione verso l’altro. Un discepolo missionario sa osare, rischiare e, nel contempo sa trovare soluzioni, impossibili a prima vista, con altrettanta dinamicità.

07/11/2019 – S. Prosodimo di Padova

“Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».”  (Luca 15,1-10).

Gli scribi e i farisei contestano Gesù perché i pubblicani e i peccatori lo ascoltano. Lo contestano perché il Maestro accoglie e mangia insieme a loro

Gesù intuendo questi pensieri racconta due parabole: la pecora perduta e la moneta smarrita.

In questi due racconti scopriamo la responsabilità del discepolo e la sua missione, quella attuata da Gesù, cioè quella di accogliere i cosiddetti lontani dalla comunità.

In queste due parabole ci sono tre verbi importanti: perdere, ritrovare e gioire. Perdere e ritrovare riguardano la singola persona. Gioire riguarda invece la comunità.

Talvolta é necessario che perdiamo qualche cosa per poi ritrovarla ed essere poi felici. Questo ci aiuta a capire che la sequela richiede la capacità di lasciare qualcosa per riconquistare e gioire di un bene più grande: la compagnia del Signore.

L’essenza delle due parabole é data dall’atteggiamo di Gesù: tutti sono accolti da Gesù sopratutto i lontani, gli smarriti e i perduti, perché il Padre è misericordioso. Vuole che tutti siano salvati.

Il discepolo che segue Gesù cerca coloro che si sono persi perché “vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte”.

06/11/2019 – Mercoledì della 31ª Settimana del Tempo Ordinario

“Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.” (Luca 14,25-33).

Ai presupposti per vivere una fede capace di convertire la nostra vita ogni giorno e di accogliere la presenza del Signore, segue la scelta di diventare discepoli.

Nell’Evangelo di oggi scopriamo che Gesù indica le condizioni per essere suoi discepoli.

É innanzitutto necessario lasciare i legami affettivi e i legami rispetto al possesso delle cose. Essere discepoli presuppone addirittura di non amare la propria vita e di portare la croce, cioè il peso del sacrificio di donare se stessi per il bene degli altri.

Gesù però pone una ulteriore condizione. Non è obbligatorio scegliere di diventare discepoli. Occorre misurare le proprie capacità e le proprie forze. Un progetto non si costruisce dal nulla e non ha senso lasciarlo incompiuto.

Essere discepoli presuppone di essere sempre in cammino. Nella lettera dì Paolo ai Romani (13,8-10) cogliamo l’essenza del seguire Gesù e dell’essere dietro a lui: “Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge.”

Si è discepoli per gli altri!

05/11/2019 – Martedì della 31ª Settimana del Tempo Ordinario

“Il servo disse: “Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto”. Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena”” (Luca 14,15-24).

É l’Evangelo delle scuse quello della liturgia di oggi.

Il dialogo tra Gesù e il capo dei farisei, che lo ha invitato a pranzo, non ha prodotto un grande risultato.

E per farsi capire ulteriormente racconta una parabola che sembra paradossale.

Un uomo importante organizza una grande cena e fa molti inviti. Ma tutti quelli che invita non vengono alla cena e accampano varie scuse.

Siccome la cena é pronta il padrone invita il suo servo ad invitare gli ultimi del paese: poveri, ciechi, storti e zoppi.

E non si limita ad invitare questi ma obbliga a venire alla cena anche le persone nascoste. C’è ancora posto. Alla cena non parteciperanno quelli invitati ma quelli cercati e incontrati nelle piazze, nelle vie e lungo le siepi.

La conclusione della parabola é descritta all’inizio dell’Evangelo: sono beati coloro che prenderanno cibo nel regno dei cieli. Ma non sono coloro che sono stati invitati, ma quelli che si sono resi disponibili a partecipare alla cena.

Il regno dei cieli é destinato a coloro che sono disposti ad accogliere l’invito e a dare risposta ad una chiamata, senza avanzare scuse.

04/11/2019 – S. Carlo Borromeo

“In quel tempo, Gesù disse al capo dei farisei che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti». (Luca 14,12-14).

I dialoghi di Gesù con i farisei e le autorità religiose sono sempre stati complicati e difficili.

Gesù ha posto alla loro attenzione la necessità di una conversione ponendo questioni semplici ma radicalmente proiettante in un oltre.

L’Evangelo ci invita ad ascoltare e meditare il consiglio che Gesù dà al capo dei farisei che lo ha invitato a pranzo.

É un insegnamento semplice: superare la logica del contraccambio, ovvero superare l’interesse che sempre ci può essere nella vita e nella attività umana rispetto la relazione con l’altro. É troppo facile invitare quelli che stanno dalla nostra parte.

Offrire un banchetto e invitare gli ultimi della società non solo ci dà merito nel nostro agire verso il prossimo ma soprattutto interrompe una prospettiva che é quella di limitare il rapporto con l’altro ad uno scambio a prestazioni corrispettive.

Ricevere la ricompensa dei giusti vuol dire essere riconosciuti capaci di amare D-o nella libertà e riconoscerlo Signore del bene, della misericordia, del dono gratuito. Si risorgerà e si rinascerà a vita nuova sé sapremo accogliere i poveri. Questa é la scelta di fondo di chi vuole essere in Cristo.

03/11/2019 – 31ª Domenica del Tempo Ordinario

“Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».” (Luca 19,1-10).

Che cosa avrà spinto Zaccheo a correre e a salire sul sicomoro per veder passare Gesù? Certo non solo la curiosità ma forse qualcosa di più!

Zaccheo sale sul sicomoro perché è piccolo di statura, non ce la fa a veder passare il Maestro. Ma sale su un albero pieno di rami che quasi gli impedisce di vedere. È in una posizione pericolosa, tra l’altro.

Tuttavia Gesù si accorge di lui e gli chiede di scendere. Bisogna stare con i piedi per terra. Bisogna scendere per incontrare il Maestro, al di là della propria condizione di vita, al di là delle responsabilità e delle paure che Zaccheo ha, perché disprezzato dalla gente per essere un pubblicano.

Ma ecco la novità: Gesù si prenota per andare a trovare Zaccheo a casa sua. E mentre ci sono le mormorazioni su Gesù, si compie un incredibile fatto: c’è una accoglienza che diventa conversione, una conversione che diventa un momento “penitenziale”.

Zaccheo ammette i suoi peccati ma si dà anche la penitenza. Ha un coraggio incredibile. Zaccheo sa cogliere quali sono i suoi punti deboli e come deve fare per rimediare e convertirsi: dare metà dei suoi beni ai poveri e restituire quattro volte tanto a chi ha frodato.

E questo riconoscersi peccatore e perfino darsi una regola per convertirsi che è apprezzato dal Signore: la salvezza è entrata in casa tua.

Anche noi quando viviamo il sacramento della riconciliazione siamo capaci di darci una penitenza come quella di Zaccheo? Il primo passo da fare è sperimentare la conversione, riconoscendo di essere piccoli e fragili peccatori.

02/11/2019 – Commemorazione dei Defunti

“E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.” (Giovanni 6,37-50).

Perché la Chiesa ma anche altre religioni conservano una profonda attenzione verso coloro che non sono più vivi? Che cosa c’è oltre la morte fisica, oltre il nostro corpo?

Dall’Evangelo di Giovanni che la liturgia ci propone scopriamo che nulla va perduto, perché dall’amore, dal dono della nostra vita, si genera l’incommensurabile e misteriosa unità con chi ci è stato accanto in D-o.

Fare la volontà del Padre è stata la missione di Gesù affinché nessuno vada perduto, anzi nella prospettiva che tutti risorgiamo a vita nuova nel Signore per contemplare la sua presenza in eterno.

Noi siamo eterni attraverso l’amore donato, attraverso il bene vissuto, riscoprendo la giustizia che dà dignità alla vita umana. In fondo la nostra vita è energia vitale, è luce che si illumina.

In questo giorno quando andiamo al campo santo, pensiamo al bene ricevuto da chi ci ha lasciato. Il bene ricevuto è talmente tanto che non ce ne rendiamo conto, ed è questo che Gesù ha voluto testimoniarci con il dono della sua vita. Perdere per salvare è il mistero di Gesù che ancora oggi vive attraverso la nostra fede.

Rimaniamo silenti in questo giorno. Preghiamo per ricevere la forza di donare vita agli altri.

01/11/2019 – Solennità di tutti i Santi

“In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo …” (Matteo 5,1-13).

Osserviamo con attenzione le azioni che compie Gesù prima di annunciare le otto Beatitudini raccontate da Matteo.

Gesù vede le folle. Sono una moltitudine. Sono senza pastore.

Gesù sale sul monte. Tante volte Gesù si è ritirato sul monte a pregare in solitudine. Salire vuol dire mettersi in contatto con il Signore.

Gesù si siede. É l’atteggiamento tipico di chi si mette a suo agio e vuole mettere a loro agio i suoi ospiti.

Gesù accoglie i discepoli che si avvicinano a lui. Sono intorno a lui in cerchio.

Gesù parla, annuncia l’Evangelo della vita e dell’amore misericordioso del Padre.

Gesù insegna dicendo le beatitudini.

In queste azioni di Gesù vogliamo cogliere la dimensione del rinascere santi. Ricordiamoci che alla base delle Beatitudini non c’è solo l’impegno nostro ma soprattutto il segno dell’azione del Buon D-o verso di noi.

30/10/2019 – Mercoledì della 30ª Settimana del Tempo Ordinario

“In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.” (Luca 13,22-30).

Chi si salva? É una domanda provocatoria fatta da colui che si sente in colpa perché non ha capito che il regno di D-o, pur invisibile piccolo e nascosto, si espande quando accoglie e fa abitare la vita delle persone, gli altri da noi.

Bisogna passare per la porta stretta della giustizia. La giustizia é il segno distintivo della dignità della persona e di ciò che il Buon D-o ci chiede ogni giorno.

Chi é ingiusto é operatore di iniquità trova la porta della vita chiusa. Anzi quando sarà il momento, verranno da Nord a Sud, da Est ad Ovest, e troveranno la porta aperta.

É paradossale che le comunità al tempo di Gesù non riconoscono il messaggio di Gesù. Esse pretendono di bastare a loro stesse, rispettando la Legge e i Precetti, dimenticando che la Legge e i Precetti sono per il bene di chi le vive. E comunque non sono sufficienti perché bisogna ricercare e vivere la giustizia. La giustizia é richiesta per gli altri, per il loro bene.

28/10/2019 – S.S. Simone e Giuda

“In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando D-o. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli … “ (Luca 6,12-19).

Colpisce che Gesù sceglie gli apostoli, ovvero quelli che andranno in missione, dopo tutta una notte di intensa preghiera. É alla luce del giorno che il Maestro chiama i suoi più stretti compagni di avventura nell’annuncio della lieta notizia.

Quasi sembra ripetersi il senso di una nuova creazione. É la Luce che illumina, la Luce del Cristo, del Signore della vita che ci invita ad annunciare, con gioia, la bellezza di aver riconosciuto la presenza dell’Altissimo nella nostra vita.

Alla Luce vanno associati i nomi dei dodici apostoli. La missione cresce con i volti, con le relazioni, con l’impegno concreto.

Nell’Evangelo scopriamo subito qual è l’impegno e il senso della missione. Innanzitutto bisogna discendere (dal monte) dalle nostre certezze, per incontrare, ascoltare, guarire, toccare e lasciare che la forza di Gesù impregni la vita della gente, la nostra vita.

Le comunità cristiane in uscita trovano i motivi di annuncio, di speranza, di misericordia con lo stile e l’impegno responsabile proprio in questo Evangelo.