“Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli disse: Prendete, mangiate: questo è il mio corpo”. (Matteo 26,17-75)
Inizia la storia della salvezza: il principio raccontato da Genesi; con la creazione Dio ha messo in opera il suo amore e l’ha portato a compimento con il dono di suo Figlio Gesù a noi. Gesù lo ha compiuto donando la sua vita secondo la volontà del Padre.
Qui il duello è duplice: esteriore e interiore. Il primo è rappresentato forse da 3 uomini, diversi per le loro scelte: lo stesso verbo della “consegna” è operato da una parte da Giuda che “tradisce” e similmente da Pietro che rinnega e dall’altra da Gesù che “si dona”. Un tradire per denaro, per delusione di aspettative, per propri interessi e tornaconto, per falsità, per opportunismo, per guadagnarci, dall’altra un offrirsi per amore, gratuitamente, per gli altri, per chi ti ha rifiutato, fino a perderti per-dono.
Il secondo è la lotta fra i sentimenti interni che in questo vangelo sono abbondanti e che ciascuno di noi prova nei momenti difficili della vita: resistere con fede o cedere per sconforto. Da una parte quelli di Gesù: tristezza e angoscia nella veglia al Getsemani e la fiducia risultante dalla preghiera “però non come voglio io ma come vuoi tu!” (Matteo 26,39), “Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà” (Matteo 26,42).
Inoltre ci sono i discepoli durante la Cena “profondamente rattristati” (Matteo 26,22), che iniziano a fare domande e interrogarsi su chi possa tradire Gesù. C’è la determinazione iniziale di Pietro che dice “anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò”, confermato dagli altri amici. Alla fine invece “uscito fuori, pianse amaramente” (Matteo 26,75), dopo essersi accorto, al canto del gallo, di aver rinnegato per tre volte, dicendo sempre più convinto “non conosco quell’uomo!” (Matteo 26,74).
C’è, poi, lo sdegno del sommo sacerdote che “si stracciò le vesti dicendo: Ha bestemmiato!” (Matteo 26,65), che sembra inorridito per le parole udite, qualcosa di impensabile, di assurdo secondo la sua logica, perciò di fronte all’evidenza elimina l’altra persona, piuttosto che rinunciare ai suoi schemi e alle sue idee.
Un altro confronto è fra la folla esultante che aveva accolto Gesù e “la grande folla con spade e bastoni” nel Getsemani per arrestarlo (Matteo 26,47) ovvero l’illusione davanti ad un re potente e la codardia della cattura notturna di un innocente “fastidioso”; se questa è la folla, la comunità cristiana come si comporta? Da un lato, la condivisione della Pasqua di Gesù insieme ai discepoli e l’ora di veglia in preghiera in solitudine con pochi amici che caddero “addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti” (Matteo 26,43); nel momento decisivo “tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono” (Matteo 26,56). Uno solo, fedele fino in fondo, che resta, contro tutti gli altri, che se ne vanno e lo lasciano, lo tradiscono, lo rinnegano. I suoi amici non sono stati in grado di accogliere l’invito di Gesù: “restate qui e vegliate con me” (Matteo 26,38), mentre Lui ha mantenuto la sua promessa: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dei giorni” (Matteo 28,20). È evidente lo scarto fra la parola detta e realizzata da Gesù, il suo silenzio di fronte alle accuse, e la fragilità, la prepotenza delle parole e l’irruenza dei gesti di Pietro e degli altri.
Siamo veramente lontani dal vivere come Gesù ha fatto. Impariamo da Lui in questo giorno. Nutriamoci della sua Parola e del suo Pane. Lasciamoci trasformare da Lui, partecipando alla sua Passione. Chiediamogli la Grazia di saper “spezzare la nostra vita” con umiltà, di donarci “fino a perderci” per amore.