“Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate.” (Giovanni 18,1-19,42).
La passione del Signore non ha bisogno di commenti perché va meditata nel silenzio e nell’intima coscienza del nostro essere.
Colpiscono, però, le parole del profeta Isaia: ‘Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca’ (Isaia 52,13-53,12).
Gesù, da Figlio di D-o e da uomo, si é abbassato ad un livello che noi facciamo fatica a capire fino in fondo. Ha scelto di donare se stesso, umiliando il suo corpo, ritraendosi dalla potenza della sua Creazione.
Ma nell’Evangelo di Giovanni colpiscono ancora alcuni tradimenti.
Colpisce quel ‘Sono Io’ di Gesù nell’arresto rispetto al ‘non sono io’ di Pietro che lo disconosce.
Colpisce la mistificante giustificazione in progressione del popolo, dei Giudei, dei capi religiosi che condannano Gesù: ‘a noi non è consentito mettere a morte nessuno’; ‘noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di D-o’; ‘non abbiamo altro re che Cesare’.
Si consumano in queste parole il duello tra ciò che é verità e ciò che é falsità, tra ciò che é vita e ciò che é morte.
Quante volte anziché essere testimoni della verità attraverso l’amore per la vita siamo al contrario testimoni della falsità e delle scuse per il non amore per la vita e quindi il privilegiare la morte!
É questo un interrogativo che ci portiamo con noi in queste ore di silenzio, di dolore, dove perfino D-o si lascia morire per amore.
Signore Gesù, Tu che hai accettato il sacrificio della Croce aiutaci almeno ad amare quel legno della Croce nel quale contempliamo il tuo sacrificio per noi.