26/10/2021 – Martedì della 1ª Settimana dopo la Dedicazione

Marco 10, 17-22

In quel tempo. Mentre il Signore Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?».

 

Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare
il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre».

 

 

Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!».

 

 

Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.

Un tale corre incontro a Gesù. Forse ha sentito parlare di Lui, forse lo ha già incontrato in precedenza e per questo ritiene che sia un “maestro buono”, a cui affidarsi, un maestro capace di indicargli la retta via. Quest’uomo è spinto dalle migliori intenzioni e davvero vuole rendere la sua vita capace di aspirare alla vita eterna.

Gesù inizialmente sembra accontentarsi del suo operato, del rispetto del prossimo e di Dio, dell’obbedienza alla torah. Poi lo guarda … fissa lo sguardo su di lui e lo ama – riporta il testo –

Forse troppe volte, ascoltando queste righe di Vangelo, mi sono soffermata su quest’uomo poco coraggioso, che alla richiesta di Gesù di lasciare tutti i suoi beni, di ribaltare il suo modo di vivere, se ne va triste, perché non ne è capace.

Oggi mi ha, invece, profondamente colpito l’espressione “lo amò”: il Signore lo ha amato fin da subito e ha continuato ad amarlo anche dopo il suo rifiuto, forse Gesù gli ha chiesto qualcosa di grande (cambiare vita) proprio perché lo amava e vedeva il suo bene, persino dove quell’uomo non lo vedeva.

Allora forse anche noi, cercatori di vita piena, uomini desiderosi di essere sempre più a “sua immagine”, uomini che puntano a realizzare già in questa vita la pienezza eterna, non ci soffermiamo abbastanza su quell’espressione: “Lo amò”.

Se ripercorressimo ogni giorno l’amore riversato da Dio nelle nostre esistenze fin dalle viscere materne, potremmo affrontare con più coraggio la coerenza della vita cristiana. Se facessimo risuonare in noi la certezza che Lui ci ama, saremmo più capaci di affidarci e fare scelte radicali, poiché chi ci ama vede prima e più di noi il nostro bene.

Preghiamo con il salmo 138:
 Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu sai quando seggo e quando mi alzo.
Penetri da lontano i miei pensieri,

mi scruti quando cammino e quando riposo.
Ti sono note tutte le mie vie;
la mia parola non è ancora sulla lingua
e tu, Signore, già la conosci tutta.
Alle spalle e di fronte mi circondi
e poni su di me la tua mano.
Stupenda per me la tua saggezza,
troppo alta, e io non la comprendo.
Dove andare lontano dal tuo spirito,
dove fuggire dalla tua presenza?
Se salgo in cielo, là tu sei,
se scendo negli inferi, eccoti.
Se prendo le ali dell’aurora
per abitare all’estremità del mare,
anche là mi guida la tua mano
e mi afferra la tua destra.
Se dico: «Almeno l'oscurità mi copra
e intorno a me sia la notte»;
nemmeno le tenebre per te sono oscure,
e la notte è chiara come il giorno;
per te le tenebre sono come luce.
Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre.
Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio;
sono stupende le tue opere,
tu mi conosci fino in fondo.

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