“Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”” (Luca 17,5-10).
L’Evangelo che ascoltiamo in questa domenica é intrigante perché è fatto di sfumature importanti.
La prima di queste è la richiesta dei discepoli di aumentare la fede. Quello che chiedono è la presa di coscienza della incapacità di perdonare sempre. Gesù infatti nel versetto precedente aveva ribadito il significato del perdono.
É fuori luogo la richiesta dei discepoli di chiedere a Gesù di aumentare la loro fede. La fede dipende da noi. Sarebbe stato più corretto chiedere la capacità di perdonare tenuto conto delle nostre povertà e fragilità.
Ma Gesù guarda oltre. Afferma che basta poco per avere fede. Basta avere fede quanto un granello piccolo di senape per far spostare perfino le montagne.
La seconda sfumatura é legata all’esempio che Gesù evidenzia quando un servo, per quanto abbia lavorato, comunque sia chiamato a servire il suo padrone. Il padrone non avrà l’obbligo di prestare gratitudine. Il servo ha fatto semplicemente il suo dovere.
Gesù aggiunge una sfumatura a questo discorso. Il compito di una persona di fede è fare del bene che sia riconosciuto o meno. Nulla ci si deve aspettare in cambio. Non è inutile il lavoro svolto. È semplicemente il riconoscere che il bene ha una valenza di gratuità.
Essere servi inutili quindi è avere il coraggio di lasciare ogni gratificazione perché il bene sia dono senza contraccambio.
Il servire, quindi, è scelta per gli altri. É riconoscere il servizio donato senza pretese. Per questo possiamo chiedere al Signore di essere sempre capici di dedicarci al servizio, con fede, senza il contraccambio.
07/10/2019 – Beata Vergine Maria del Rosario
“In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?».” (Luca 10,25-37).
Gesù ha dato lode al Padre, qualche versetto prima dell’Evangelo di oggi, perché i misteri del regno sono stati nascosti ai sapienti e ai dotti e invece sono alti rivelati ai piccoli.
É proprio a partire da questa preghiera che meditiamo il dialogo tra Gesù e il dottore della Legge. Gesù viene messo alla prova per capire da dove gli venga la sua saggezza e sapienza.
Alla domanda che cosa bisogna fare per guadagnare la vita eterna, Gesù risponde con una domanda: che cosa dice la Legge, che cosa si legge nella Torah? Il dottore della Legge risponde correttamente ripetendo la preghiera dello Shemà Israel: amare Il Signore con tutto noi stessi e il nostro prossimo.
Fin qui tutto bene. Ma il dottore della Legge non si accontenta. Chiede a Gesù chi è il nostro prossimo, ovvero chi è l’altro da noi?
La parabola del buon Samaritano è per certi versi paradossale per il dottore della Legge ma è la risposta che Gesù dà rispetto a chi ha la pretesa di addomesticare la Parola, la Legge e la Torah a proprio uso e consumo!
In sostanza Gesù ricorda al suo interlocutore che si ama il Buon D-o se si ama chi ci sta accanto. Si ama il Signore se ci prendiamo cura di chi è nel bisogno.
A volte é la testimonianza di chi è fuori dal nostro cerchio a dirci come bisogna amare il prossimo e quindi il Signore. É per questo che dobbiamo aprire la nostra vita agli altri ed uscire dalle nostre comunità e dalle nostra placida tranquillità!