29/03/2020 – 5ª di Quaresima – Domenica di Lazzaro

Gv 11, 1-53
In quel tempo. Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo
di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì,
o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella
del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberatelo e lasciatelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli
aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da sé stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.

«Signore, ecco, colui che tu ami è malato»
Mai come in questo momento questa frase è attuale e ci riporta a quello che stiamo vivendo in questo periodo, ma Gesù non si precipita in Giudea, attende due giorni nel posto in cui si trovava per far sì che la storia faccia il suo corso; venuto il momento, però, Gesù va da Lazzaro dicendo apertamente ai discepoli: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!»

Gesù mette alla prova la fede dei discepoli come mette alla prova la nostra tutti i giorni, chiedendoci di credere “senza vedere”. La fiducia e l’affidarsi di Marta e di Maria rappresentano quello a cui tutti dovremmo aspirare: essere capaci di credere, di avere fiducia senza esitare ripetendo dentro di noi le parole di Marta: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».

Perché permetti ai problemi della vita
di confonderti ed agitarti?
Lascia che Io mi prenda cura di ogni tua cosa,
e tutto andrà meglio.
Quando ti arrendi a Me,
tutto si risolverà con tranquillità,
secondo i miei piani.
Non disperarti,
e non rivolgermi alcuna preghiera agitata
come se pretendessi che io soddisfi i tuoi desideri.
Chiudi gli occhi dell’anima e dimmi, con calma:
“Gesù, io confido in Te”.
Evita le preoccupazioni,
le paure e i pensieri ansiosi verso il futuro.
Non rovinare i miei piani,
chiedendomi di imporre le tue idee.
Lasciami essere Dio,
facendomi agire in libertà.
Abbandonati a Me, con fiducia.
Riposa in Me e poni il tuo futuro nelle mie mani.

Padre Adrián Francisco Roelly

 

28/03/2020 – Sabato della 4ª di Quaresima

Mt 19, 13-15

In quel tempo. Furono portati al Signore Gesù dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li rimproverarono. Gesù però disse: «Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli». E, dopo avere imposto loro le mani, andò via di là.

Questo breve passo del Vangelo di Matteo mostra l’immagine di un Gesù benevolo che accoglie a sé dei bambini; egli scorge nella piccolezza, nell’insignificanza di questi bambini il valore primo della vita, il titolo primo di appartenenza al Regno di Dio, la condizione fondamentale di
beatitudine: la povertà in spirito.

Questo gesto apparentemente semplice ci offre la possibilità di collocarci in una doppia prospettiva: da un lato possiamo essere noi come Gesù e rivolgere le nostre attenzioni ai veri “ultimi”, gli emarginati, i sofferenti, coloro che la sociètà ci spinge a trascurare (similmente ai discepoli coi bambini) e a donargli il nostro tempo in maniera gratuita, scorgendo in loro il volto del Signore; dall’altro possiamo essere noi bambini e con fiducia e spensieratezza lasciarci accogliere tra le braccia amorevoli, magnanime e sicure del Padre.

SALMO 88 (89)
Tu hai un braccio potente,
forte è la tua mano, alta la tua destra.
Giustizia e diritto sono la base del tuo trono,
amore e fedeltà precedono il tuo volto.
Beato il popolo che ti sa acclamare:
camminerà, Signore, alla luce del tuo volto;
esulta tutto il giorno nel tuo nome,
si esalta nella tua giustizia.
Perché tu sei lo splendore della sua forza
e con il tuo favore innalzi la nostra fronte.
Perché del Signore è il nostro scudo,
il nostro re, del Santo d’Israele.

27/03/2020 – Venerdì della 4ª Settimana – Feria aliturgica

salmo 50

… Non scacciarmi dalla tua presenza

e non privarmi del tuo santo spirito.

Rendimi la gioia della tua salvezza,

sostienimi con uno spirito generoso…

 

Chiedendo la gioia della salvezza, entriamo nella gioia di Dio. Che è la stessa gioia del padre che vede suo figlio tornare sano e salvo.

Una gioia contagiosa.

Ecco allora il proposito che possiamo fare … che non è semplicemente una scommessa sul futuro, non è una previsione di ciò che saremo, perché nessuno è profeta su di sé, non è la certezza di riuscire a dominarsi pienamente.

Il proposito è la certezza della forza che emerge dal perdono di Dio.

Se Dio mi ama, se Dio mi perdona, io posso chiedergli: Signore, fammi essere diverso!

26/03/2020 – Giovedì della 4ª di Quaresima

Mt 7, 21-29

In quel tempo. Il Signore Gesù diceva ai suoi discepoli: «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha
costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande». Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi.

Non bastano le parole e le invocazioni per essere riconosciuti dal Maestro. Anzi: non basta neppure essere discepoli o profeti o guaritori o compiere gesti eclatanti.

Gesù è tagliente: oggi la sua parola “spacca in due” il nostro cuore, offusca le nostre certezze. Il discepolo è colui che ascolta la parola e la vive, la mette in pratica. L’accogliere la parola e renderla concreta – dice Gesù – significa costruire la casa della nostra vita sulla roccia, nessuno può dirsi credente fino a quando la tempesta non investe la sua vita.
Dobbiamo stare attenti a non farci scudo delle nostre convinzioni, attenti a non diventare giudicanti e, evangelicamente, sentirci migliori di chi abbiamo accanto: nessuno sa se possiede davvero la fede fino a quando non è vagliata.

Accogliamo la parola, allora, facciamola diventare pietra salda su cui costruire ogni scelta, senza fanatismi e senza paure. Allora saremo pronti ad affrontare le difficoltà.
Al discepolo, al cristiano, la sofferenza non è evitata o alleviata, la sua vita non è un comodo rifugio: anche a lui è chiesto dalla vita di affrontare le difficoltà, senza favoritismi, senza sconti. Ma il discepolo che ha accolto la Parola sa che, restando ancorato alla roccia, la costruzione della sua
vita non crollerà miseramente.

Rendici non solo passivi ascoltatori, ma appassionati “attori” della tua Parola, Signore, affinché possiamo edificare noi stessi su stabile roccia e le tempeste della vita non facciano crollare la nostra fede.

25/03/2020 – Annunciazione del Signore

Lc 1, 26b-38

In quel tempo. L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste
parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore
Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti
coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la
serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Incarnazione di Gesù: è il Figlio di Dio che si fa carne nel grembo di Maria.

La faccenda è così sconvolgente che persino Maria ne avverte il contraccolpo. “Non temere, non avere paura” le dice l’angelo. Maria, però, di paura ne ha eccome (“ella fu turbata a queste parole”).
Tutti abbiamo sempre un po’ paura di fronte a ciò che non conosciamo, agli ostacoli che la vita ci pone d’innanzi. Così come alla vergine, anche a noi il Signore chiede di fidarci, di non avere paura.
Serve però un “Eccomi”, come quello di Maria. Un “Eccomi” convinto, pronunciato con fede e devozione.
Maria stessa appare dubbiosa e non comprende fino in fondo la portata di quello che le sta accadendo, ma dice “si”, si fida.

Quante volte a noi capita di svicolare tra i problemi, di subire passivamente determinate situazioni solamente per comodità o per paura di sbagliare, di non essere all’altezza….
Pronunciare l’ ”Eccomi” significa responsabilizzarci, accogliere le insidie non con un “si” timido, ma un “si” deciso; significa avere il coraggio, come Maria, di fidarci, di affidarci, di metterci al servizio del Padre.

Come Maria, davanti all’angelo, sarebbe bello dire ogni mattina “Eccomi, Signore, oggi si compia in me la tua volontà”. Eccomi è la parola-chiave della vita, è “non vivere dipendendo dai problemi, ma fidandosi di Dio e affidandosi ogni giorno a Lui” (Papa Francesco)

SALMO 39 (40)
Non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo.
Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero».
Ho annunciato la tua giustizia nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai.
Non ho nascosto la tua giustizia dentro il mio cuore,
la tua verità e la tua salvezza ho proclamato.
Non ho celato il tuo amore

e la tua fedeltà alla grande assemblea.
Esultino e gioiscano in te quelli che ti cercano;
dicano sempre: «Il Signore è grande!»
quelli che amano la tua salvezza.

24/03/2020 – Martedì della 4ª di Quaresima

Mt 7, 6-12
In quel tempo. Il Signore Gesù diceva ai suoi discepoli: «Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi. Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono! Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti».

In questo brano tratto dal discorso della montagna ci si può accorgere del contrasto tra il versetto iniziale e il versetto finale.
Il versetto iniziale invita a “non dare” e sembra in qualche modo legittimare i discepoli di Gesù nell’avere atteggiamenti di disprezzo verso i pagani (qualificati come cani e porci). Il versetto finale, invece, invita a usare come misura del proprio dare agli uomini (quindi anche ai pagani) l’amore
che si ha per se stessi.
Risulta evidente come, in questo contrasto, da un lato ci sia la consapevolezza della forza umanizzante della fede (a differenza di cani e di porci la fede ci rende autenticamente umani, conformi all’opera creatrice del Padre) e dall’altro ci sia l’insegnamento che questa consapevolezza è vissuta
adeguatamente quando ci mettiamo in relazione con gli altri in termini di amore; e si deve trattare di un amore che va oltre il criterio della reciprocità, che si spinge sul terreno dell’unilateralità, della gratuità, cioè il donare senza calcoli e senza aspettative di ritorno, proprio come farebbe il Padre nei nostri confronti (“Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono! Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”)

Apri le nostre menti e i nostri cuori, o Signore, ad accogliere ogni giorno, in ogni istante, il tuo amore gratuito e misericordioso per gustare la gioia che viene dal donarsi con gratuità a te presente nei nostri fratelli e camminare a passi lieti verso la risurrezione.

23/03/2020 – Lunedì della 4ª di Quaresima

Mt 7, 1-5
In quel tempo. Il Signore Gesù diceva ai suoi discepoli: «Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti
accorgi della trave che è nel tuo occhio? O come dirai al tuo fratello: “Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio”, mentre nel tuo occhio c’è la trave? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».

Siamo sempre molto abili nel giudicare chi ci sta accanto. Crediamo di sapere, di conoscere, di capire chi ci è vicino. E, troppo spesso, il giudizio che diamo è negativo, tranciante, eccessivo. Se una persona commette un errore, subito esce dalla nostra sfera di amicizia, o, al massimo, gli
rivolgiamo qualche attenzione ma con sufficienza.

Ma il giudizio più terribile è quello dato in nome della fede, quando sottolineiamo i difetti o i peccati altrui pensando, facendo così, di rendere onore a Dio. Gesù azzera tutte queste illusioni con un’affermazione che ci fa rabbrividire: prima di giudicare gli altri è meglio analizzare sé stessi, togliere la trave che ci impedisce di vedere la pagliuzza nell’occhio del fratello.

Non si tratta di evitare il giudizio, di non avere opinioni, certo. Ma di averle mettendosi nella dinamica prospettiva di Dio che non vede il peccato ma la possibile redenzione del peccatore. Siamo chiamati a giudicare noi stessi e gli altri con la compassione che ci proviene dal Maestro, consapevoli che nella vita ogni errore può essere superato, redento, riparato.

Iniziamo questa settimana provando a giudicare in un modo nuovo, mettendoci nella prospettiva di Dio.

Signore, se ti sdegnerai contro di noi,
chi verrà in nostro aiuto?
Chi avrà pietà delle nostre miserie?
Hai chiamato a conversione la cananea e il pubblicano,
hai accolto le lacrime di Pietro:
accogli pietoso, Gesù, anche il nostro pentimento e salvaci,
Salvatore del mondo.

22/03/2020 – 4ª Settimana di Quaresima – Domenica del cieco

Prosegue la nostra Quaresima nella fatica del deserto quotidiano, in compagnia della Parola, commentata dai giovani ambrosiani di Azione Cattolica (sito azionecattolicamilano.it)

Gv 9, 1-38b

In quel tempo. Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna
che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti
nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno
che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e
non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!».

Questa pagina del Vangelo di Giovanni illustra uno dei segni più emblematici compiuti da Gesù, ovvero la guarigione del cieco nato. Cristo sputa per terra, applica il fango sugli occhi del cieco e lo manda a lavarsi nella piscina di Siloe, ridonandogli la vista.
Davanti al suo operato, i presenti reagiscono in modi differenti, discutono e si schierano chi a favore e chi contro; chi è disponibile e chi invece nutre paure, pregiudizi.

Il cieco accoglie progressivamente Gesù non solo come uomo, ma anche come profeta ed infine come Figlio di Dio.
I farisei si disinteressano della positività del gesto e argomentano per squalificare a priori l’azione di Gesù, definendolo un peccatore.                  Poi ci sono i curiosi e gli stessi genitori che non vogliono esporsi, hanno paura e rimangono sempre in attesa: sono coloro che non vogliono mai schierarsi.

Questa pagina può essere interpretata come metafora di un invito per noi cristiani di oggi a non atteggiarci come i genitori del cieco che per paura non si esprimono; né tanto meno come i farisei che, di fronte alla messa in discussione delle proprie certezze respingono la realtà e addirittura la rinnegano, nascondendosi dietro ad un alibi.

L’invito è invece quello si schierarsi dalla parte di Cristo, di accogliere la sua luce quale dono che libera e coinvolge e di diventarne testimoni attivi.
Il peccato più grande che come Chiesa e cristiani possiamo compiere è quello di sentirci a posto, rinunciando ai cambiamenti. Ognuno può cogliere, nel proprio vissuto, quanta chiusura è ancora presente e come spesso fatichiamo a compiere gesti di accoglienza, anche nell’ambito delle
relazioni di lavoro, scolastiche o familiari.
Quante volte siamo ciechi, ma preferiamo adagiarci sul nostro bastone e restare nell’indifferenza.
Dobbiamo invece avere il coraggio di metterci in gioco, di mettere in discussione le nostre verità personali, di lasciarci aprire gli occhi da Cristo e ammirare la Sua luce che è più grande delle nostre certezze.

Il cieco conclude il suo incontro con Gesù dicendo “Io credo” e si prostra dinnanzi al Figlio dell’Uomo. Fa’, Signore, che anche noi con il cieco possiamo dire: “Io credo Signore che tu sei la luce del mondo. Donaci la capacità di saper cambiare, la forza di volontà per agire, il desiderio di vivere ad occhi spalancati e di riscoprire l’identità del nostro essere cristiani.”

21/03/2020 – Sabato 3ª di Quaresima

Mc 6, 6b-13

In quel tempo. Il Signore Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando. Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

 

In questi versetti Gesù chiama ad andare verso i fratelli, verso gli altri. Tu diventi davvero figlio se vai verso i fratelli. Per cui la missione non è solo degli apostoli o dei missionari, è di tutti noi ed è invito ad uscire dal proprio egoismo ed andare verso i fratelli.

Ma poi, perché inviarli a due a due e non da soli? Mandandoli due a due mette in chiaro ciò che ha più a cuore: la relazione. È la relazione e non la divisione che testimonia l’amore di Dio. È la relazione che fa scorgere il terzo, Dio, che unisce, che agisce, che si incarna.

E altra cosa che Gesù mette subito in chiaro è che si vada senza null’altro che un bastone. Questo significa che c’è posto per tutti, perché se tu non sei ciò che “hai”, sei ciò che “dai”. E cosa puoi dare se non hai nulla? Te stesso.

Dio non possiede nulla se non l’essere padre di un figlio e viceversa. Dio è dono, l’amore è dono non possesso. E proprio in quest’ottica che Dio ci mostra la via per la libertà. Se tu doni te stesso, quello che tu doni, non ti toglie niente, anzi più condividi di te, più quel dono è davvero tuo. Quando donerai te stesso, davvero ti ritroverai.

Regala ciò che non hai

Occupati dei problemi del prossimo,
prenditi a cuore le esigenze di chi ti sta vicino.
Regala agli altri la forza che non possiedi,

la speranza che senti vacillare in te, la fiducia di cui sei privo.
Arricchiscili con la tua povertà.
Regala un sorriso, quando hai voglia di piangere,
produci serenità dalla tempesta che hai dentro.
Ecco, quello che non hai, te lo dono.
Questo è il paradosso.
Ti accorgerai che la gioia a poco a poco
invaderà il tuo essere, diventerà veramente tua,
nella misura in cui l’avrai regalata agli altri.
(A. Manzoni)

20/03/2020 – Venerdì 3ª di Quaresima – Feria aliturgica

salmo 50

…Aspergimi con rami d’issopo e sarò puro;

lavami e sarò più bianco della neve.

… Distogli lo sguardo dai miei peccati,

cancella tutte le mie colpe.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,

rinnova in me uno spirito saldo…

 

Il secondo passo che devo fare è quello di esprimere la mia preghiera al Signore.

“CREA”: questo verbo è il primo che troviamo nella Bibbia. Il creare dice qualcosa di nuovo.

Noi forse non chiediamo qualcosa di assolutamente nuovo, ma di far ritornare quel momento creativo originario che è il Battesimo. Il Sacramento della Riconciliazione è la richiesta di essere re-immersi nella forza creativa dello Spirito battesimale, che per nostra colpa abbiamo perduta.

Qual è l’oggetto dell’atto creativo e restitutivo che si chiede a Dio di compiere?

È un cuore puro, è la gioia.