13/10/2021 – S. Margherita Maria Alacoque

Lc 21, 20-24

In quel tempo. Il Signore Gesù disse:

 

«Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia.

 

 

In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità
nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti».

In questa sezione del Vangelo di Luca i toni sono decisamente apocalittici. Ma ritengo che la concentrazione del nostro orecchio del cuore non debba essere sulle calamità in quanto tali, ma sulla grande speranza che si cela dietro il dispiegarsi a volte drammatico della storia.

Le parole di Gesù ci mostrano e dimostrano la relatività delle strutture umane, fisiche e morali, rispetto all’eternità del progetto di Dio nella storia.

Questi eventi descritti nel brano ci sembrano terribilmente attuali ma è giusto verificare se il nostro sguardo di fede è capace di guardare oltre gli eventi e vedere i piccoli semi del progetto di grazia del Signore che già nella storia ha fatto crescere imponenti alberi.

La storia vede ancora semi che sono piantati e sono pronti a crescere.

Sono capace di affrontare criticamente gli eventi della storia (anche quelli di attualità) con lo sguardo della fede? Sono capace di vivere la speranza cristiana? Mi impegno a diffonderla negli ambienti che frequento?

12/10/2021 – S. Edvige

Luca 21, 10-19

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli:

 

«Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.

 

Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome.

 

 

Avrete allora occasione di dare testimonianza.

 

 

Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.

 

Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome.

 

 

Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

Leggendo questo brano voglio soffermarmi oggi solo su due espressioni.

La prima: “Avrete allora occasione di dare testimonianza”.
Il Gesù di Luca, all’atto dell’ascensione, incarica i discepoli di essergli testimoni fino agli estremi confini della terra. La testimonianza è, dunque, un tutt’uno con la sequela, è in un certo senso nell’essenza della figura del discepolo. Qui Luca ci parla addirittura della testimonianza come occasione (parola tanto sentita in questo periodo …).

Ma occasione di cosa e perché?
Prima Luca elenca la persecuzione e poi la descrive come l’occasione per essere discepoli autentici e questa autenticità si lega strettamente con l’altra parola su cui vorrei meditare: perseveranza.

Alla luce di questo brano mi interrogo su cosa possa significare per me oggi essere testimone e provo a lasciar risuonare in me alcuni brani o ammonimenti del Vangelo che mi appartengono …
Forse essere testimoni significa non giudicare il padrone della vigna, che ha pagato tutti allo stesso modo …
Forse significa riconoscersi come pecorella smarrita e non come la restante parte del gregge …
Forse significa avere il coraggio di dire ogni giorno in preghiera al Signore “Da chi andremo, Tu solo hai parole di vita eterna” …
Forse significa abbandonare i miei fariseismi e riconoscermi pubblicano, samaritana, cieco, storpio, peccatore bisognoso di essere guarito …

Forse significa mettere al centro l’altro, come faceva Gesù, sacrificando un po’ di me stesso …

E tutti questi atteggiamenti, fatti con costanza e perseveranza, possono davvero plasmarmi e portarmi a non avere paura di essere controcorrente comportandomi in tal modo, di essere emarginato o “perseguitato”, poiché ho la certezza che Dio si preoccupa della mia esistenza al punto da aver contato persino i capelli del mio capo.

Questa perseveranza è quella che può consentirmi di affidarmi serenamente al Signore, rivolgendogli le parole del Salmo che la liturgia di oggi ci consegna (dal Salmo 26):
Il Signore è la mia luce e la mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore difende la mia vita:
di chi avrò paura?

11/10/2021 – S. Alessandro Sauli – San Giovanni XXIII

Lc 21, 5-9
Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, il Signore Gesù disse:

 

 

«Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?».

 

Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti, infatti, verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».

A Gesù non interessano le “belle pietre e i doni votivi”, che anche i suoi discepoli ammirano. Sono il simbolo di una religiosità esteriore, superficiale, non autentica.
Il tempio di Gerusalemme era considerato una delle meraviglie del mondo antico. Re Erode aveva iniziato la sua ricostruzione 50 anni prima e appariva maestoso. Ma il rischio era che il tempio stesso diventasse oggetto di venerazione. L’uomo è capace di grandi opere, di plasmare la natura, ma nessuna delle opere dell’uomo piò essere eterna.

Pur senza sminuire la capacità creativa e innovativa dell’uomo, occorre stare in guardia dall’arroganza e dal considerare assoluto il potere dell’uomo sulla natura e sulla sua vita stessa.
Gesù mette in guardia, inoltre, da chi si arroga il nome di Dio (“Io sono”). Purtroppo, la storia è piena di leader o istituzioniche proclamano di agire nel nome di Gesù, ma in realtà agiscono contro di Lui. Li si riconosce dalla loro arroganza.

L’unica sequela possibile è il Vangelo.
Nel momento in cui Luca scrive il tempio è già stato distrutto. Cosa vuole dirci l’evangelista?

Anche di fronte ad eventi di portata devastante per le nostre vite, non dobbiamo considerare che tutto è finito. Anche la cosa peggiore che può capitarci, pur lasciandoci distrutti, nasconde una possibilità di rinascita, di salvezza.
Questa Speranza è il fondamento di una fede autentica, di una fede che non consente alla parola “fine” di avere il sopravvento, ma che ci dirotta verso una vita che ha il sapore di eternità.

_ Qual è il mio tempio? Quali sono i miei punti di riferimento umani che considero eterni e immutabili?
– E invece, quali sono le mie pietre miliari? Quelle che nelle fasi devastanti della mia vita mi hanno permesso di rinascere dall’alto?
_ Rifletto sulla speranza, sulla mia capacità di non lasciarsi abbattere dalle tribolazioni e difficoltà. Penso ad un evento particolarmente avverso che mi è capitato e lo riconsidero alla luce delle parole di Gesù: non è la Fine.
 
Grazie, Gesù, per averci dato la Speranza, la consapevolezza che solo Tu sei Il Fine. Aiutaci a non lasciarci ingannare dai venditori falsi profeti di questo mondo, aiutaci a perseverare nelle difficoltà, fino a quando saremo con Te nel Tuo Amore.

10/10/2021 – 6ª Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni

Matteo 20, 1-16
Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, lì mandò nella sua vigna.

 

 

Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono.

 

 

Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto.

 

Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?

 

Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata.

 

Ed egli disse loro: Andate anche voi nella vigna.

 

 

Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama i lavoratori e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi.

 

Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro.

 

 

Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo.

 

 

Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene.

 

Io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te.

 

Non posso fare delle mie cose quello che voglio?
Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?

 

 

Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi.

Oggi, in questo brano di Vangelo molto famoso, mi colpisce innanzitutto l’insistenza del padrone che chiama continuamente e durante tutta la giornata: sembra che rappresenti un invito che attende assolutamente una risposta.

Leggendolo, quindi, di primo impatto, penso di intuire che il regno dei cieli è una “chiamata”.
La mia attenzione, poi, si sposta sul fatto che il padrone si comporta in modo incredibile e inaspettato: ciascuno riceve un denaro e anche gli ultimi vengono trattati come i primi; mi sorge spontanea una domanda: “Perché alcuni hanno accettato senza bisogno di contratto o di accordi, ma solamente credendo alla sua promessa e altri no?”

Fiducia, merito, grazia: tre parole che mi rimbalzano in testa e nel cuore..

Siamo salvati per grazia, siamo amati per ciò che siamo, siamo accolti nelle nostre povertà.

Come si sentivano queste persone prima che il padrone li avesse assunti? Probabilmente (e forse anche non probabilmente!) non stavano bene: non avevano la possibilità di creare/trovare lavoro, vivevano “alla giornata”, erano privi di speranza.
Questo è l’atteggiamento che chiedo a Dio di darmi nello stile quotidiano: percepire costantemente la sua meravigliosa bellezza che opera in me.

1. In quali occasioni prevale nel mio cuore la logica del merito, anziché della dimensione che “tutto è dono”?
2. Privilegi, giustizia, benefici: alla luce del brano di oggi, che cosa mi evocano questi termini?

Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella tua casa, Signore,
per lunghissimi anni (Sal 22)

09/10/2021 – S.S. Dionigi e compagni – S. Giovanni Leonardi

Luca 22,7-16
In quel tempo. Venne il giorno degli Azzimi, nel quale si doveva immolare la Pasqua.
Il Signore Gesù mandò Pietro e Giovanni dicendo: «Andate a preparare per noi, perché possiamo mangiare la Pasqua». Gli chiesero: «Dove vuoi che prepariamo?».

 

Ed egli rispose loro: «Appena entrati in città, vi verrà incontro un uomo che porta una brocca d’acqua; seguitelo nella casa in cui entrerà. Direte al padrone di casa: “Il Maestro ti dice: Dov’è la stanza in cui posso mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”.
Egli vi mostrerà al piano superiore una sala, grande e arredata; lì preparate».

 

 

Essi andarono e trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.

 

 

Quando venne l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio».

Questo brano ci presenta l’ultima cena e l’istituzione dell’Eucaristia.

Gesù ha desiderato ardentemente mangiare la sua Pasqua con i Dodici. È l’ultima sua cena pasquale ebraica.

Con solennità Gesù rivela l’importanza particolare che egli dà a questa Pasqua che vuole mangiare con i suoi discepoli. E’ infatti un pasto speciale e
non solo perché si tratta di un banchetto di addio. Gesù parla anche della sua passione.

Egli sa bene che la sua morte è vicina. Dimostra ancora un volta il suo affetto per i discepoli che è tanto profondo e si avverte la voglia di unirsi ad essi prima della sua morte, nella comunione e di confortarli con nuova dimostrazione del suo amore, in testimonianza che questa comunione rimarrà per sempre indissolubile.

C’è come un ultimo scambio di affetti e di consegna, un ultimo saluto che dimostra la sua misericordia e il suo amore. Attraverso l’Eucarestia, questo
grande Dono, Gesù promette di essere sempre Presente.

08/10/2021 – S. Anselmo da Lucca e S. Giovanni Calabria

Luca 20, 45-47
In quel tempo. Mentre tutto il popolo ascoltava, il Signore Gesù disse ai suoi discepoli:

 

«Guardatevi dagli scribi, che vogliono passeggiare in lunghe vesti e si compiacciono di essere salutati nelle piazze, di avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti; divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere.

 

Essi riceveranno una condanna più severa».

Nel brano di Vangelo di oggi, Gesù si rivolge proprio a noi, che siamo i Suoi discepoli e ci accostiamo per ascoltare con particolare attenzione le Sue parole: “Mentre tutto il popolo ascoltava, il Signore Gesù disse ai suoi discepoli”. Tutto il popolo ascoltava, ma Gesù si rivolge a chi realmente fa proprie le Sue parole e può distinguersi dagli altri mettendole in atto.
 
Gesù, però, ci mette subito in guardia dal volere stare in mezzo agli altri come i “distinti”. Egli infatti critica duramente gli scribi che pregavano a lungo, ma, ci dice l’evangelista Luca, solo per mettersi in mostra e volevano apparire come i più importanti, passeggiando con abiti sfarzosi e sedendosi nei primi posti. O meglio… Gesù non critica gli uomini, critica il loro atteggiamento di ipocrisia, lasciando aperta la porta per la riconciliazione. 
 
Mi viene quindi spontaneo chiedermi se anche noi, quando critichiamo qualcuno, stiamo davvero criticando un atteggiamento e non piuttosto il nostro fratello e la nostra sorella.
Preghiamo perché il Signore ci doni la Sua misericordia con cui guardare ai nostri fratelli e alle nostre sorelle, perché con la stessa misericordia anche noi saremo giudicati.
 
Dio, Padre misericordioso,
chinati su di noi peccatori,
risana la nostra debolezza,
sconfiggi ogni male,
fa’ che tutti gli abitanti della terra
sperimentino la tua misericordia,
affinché in Te, Dio Uno e Trino,
trovino sempre la fonte della speranza

07/10/2021 – B.V. Maria del Rosario

Lc 20, 41-44
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai Giudei: «Come mai si dice che il Cristo è figlio di Davide, se Davide stesso nel libro dei Salmi dice: “Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi”?

 

 

Davide dunque lo chiama Signore; perciò, come può essere suo figlio?».

 

Domanda a bruciapelo: cosa ci viene in mente quando sentiamo la parola “re” oppure “Signore”? Interpreto: pensiamo a una corona, al potere, a dei possedimenti, uno che comanda e altri che obbediscono, ricchezza e fama, esercito e guerre di espansione….
Bene. Ora pensiamo a Gesù, che è Re e Signore.

Queste caratteristiche decisamente non gli appartengono, nessuno di questi aspetti della regalità gli è proprio. Ma lo sappiamo noi, i suoi, i cristiani, coloro che sono stati generati dalla sua croce; noi che lo abbiamo scoperto così mentre gli uomini del suo tempo, i suoi interlocutori, non potevano collocarlo nell’albero genealogico del re Davide (quindi figlio dell’uomo) e immaginarlo Figlio di Dio, perché da come si comportava di divino non aveva proprio gran che…

il problema è sempre lo stesso: l’idea, la proiezione e la verità.
Mi aiutano le parole di don Rino Tantardini:

“Gesù come interpreta invece la presenza dei due aspetti, figlio del re Davide e Figlio di Dio Signore? Gesù interpreta, procedendo al contrario di noi: proietta sulla regalità davidica le caratteristiche della Signoria divina, che è amore misericordioso, che è vivere all’insegna del dono di sé, per condividere con noi la sua vita, la sua perfezione, cioè il suo amore. Questa concezione di Dio è la verità radicale, che illumina e orienta tutta la vita di Gesù e ha la sua massima e radicale affermazione sulla croce. Lì sulla croce Gesù manifesta, esprime la sua regalità, interpretandola secondo la Signoria di Dio: lì è il re, che ama in perfetta adesione alla volontà del Padre, donando la sua vita per noi, condividendo con noi tutto quello che è, cioè la sua filiazione divina, e tutto quello che ha, cioè il suo Spirito, suo Padre, sua Madre”.

Se abbiamo fatto esperienza di Cristo nella sua vera natura, se abbiamo saputo scorgerLo nella nostra croce che è partecipazione alla Sua, non smettiamo di comunicarlo ai nostri fratelli , perché emerga sempre più chiaramente l’immagine vera del Dio-amore. In questo senso comunicare la verità diviene altissima forma di carità.

06/10/2021 – S. Bruno

Lc 20, 27-40
Si avvicinarono al Signore Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”.
C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna.

 

La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».

 

 

Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio.

 

Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

 

 

Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.

Il brano di oggi ci descrive Gesù che deve confrontarsi con i sadducei e la loro posizione contraria alla resurrezione.

Dalla loro visione inoltre emerge un’idea di amore che è legata alla prospettiva legalistica, cercano di affermare il diritto del possesso che vogliono che venga confermata anche nell’eternità.

Gesù invece propone una visione differente che si basa sulla logica del dono e non del possesso: riecheggia la frase di Luca dove si afferma che: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (Lc 9,24).

Gesù invita i propri discepoli a non trattenere per sé l’Amore che Dio ha riversato su di loro, ma a diffonderlo, così come sono chiamati rendere fecondi i propri talenti (cfr. Mt 25,14-30). L’amore trattenuto non può portare frutto, come l’acqua che quando non scorre – come un fiume che rende
rigoglioso il terreno che attraversa – diventa una palude.

Facciamo nostro un pensiero di Madre Teresa:Non tutti possiamo fare grandi cose, ma possiamo fare piccole cose con grande amore.”

Chiediamo al Signore di essere capaci di non risparmiarci, di andare oltre la logica dell’autoconservazione per poter pienamente vivere e gustare l’amore di Dio per noi e diffonderlo nella nostra quotidianità a coloro che incontriamo sul nostro cammino.

05/10/2021 – S. Faustino Kowalska

 

Lc 20, 20-26
In quel tempo. Gli scribi e i capi dei sacerdoti si misero a spiare il Signore Gesù e mandarono informatori, che si fingessero persone giuste, per coglierlo in fallo nel parlare e poi consegnarlo all’autorità e al potere del governatore.

 

 

Costoro lo interrogarono: «Maestro, sappiamo che parli e insegni con rettitudine e non guardi in faccia a
nessuno, ma insegni qual è la via di Dio secondo verità. È lecito, o no, che noi paghiamo la tassa a
Cesare?».

 

Rendendosi conto della loro malizia, disse: «Mostratemi un denaro: di chi porta l’immagine e l’iscrizione?». Risposero: «Di Cesare». Ed egli disse: «Rendete dunque quello che è di Cesare a Cesare e quello che è di Dio a Dio».

 

Così non riuscirono a coglierlo in fallo nelle sue parole di fronte al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero.

Alla domanda di chi pensava di farlo cadere su una questione spinosa per gli ebrei di quel tempo (come ci dobbiamo comportare con gli occupanti romani?), Gesù risponde che occorre dare a Cesare quel che è di Cesare, cioè, ridotto ai minimi termini, il principio della giustizia.

Non c’è bisogno di essere cristiani per riconoscere il principio che dare a ciascuno ciò che gli spetta di diritto è un basilare atto di giustizia: è
sufficiente essere uomini.

I suoi nemici significativamente sono costretti ad ammettere “tu insegni veramente la via di Dio” e l’episodio del vangelo di oggi sembra affermare che il cristiano, come ogni altro uomo è chiamato a fare, si impegna per la realizzazione della giustizia.

Vengono affrontate e lanciate in queste settimane questioni importanti che come cristiani non ci dovrebbero vedere assenti. Riguardano l’istituto
della famiglia e il rispetto della vita: il cosiddetto “ddl Zan”, la legalizzazione della marijuana, l’eutanasia, la gravidanza surrogata, l’accoglienza verso i profughi.
Di tutto questo nelle nostre comunità non si parla: c’è un silenzio quasi assoluto, come se quelle questioni non ci riguardassero, come se avessimo
vergogna di essere franchi e di dire le nostre convinzioni; come se avessimo timore a dare il nostro contributo, nella società in cui viviamo, all’attuazione della giustizia e del bene comune.

Eppure abbiamo molto da dire e da dare sul valore della vita umana in ogni suo momento, sul dovere di accompagnare e sostenere chi soffre o è in
difficoltà economiche, sul valorizzare l’esperienza che tante comunità di recupero (anche ispirate alla carità cristiana) hanno accumulato nel combattere contro le dipendenze, sull’accoglienza verso chi fugge guerra e miseria cercando da vivere -e non solo sopravvivere- nel nostro paese.

Partecipare alla vita della nostra nazione per concorrere al bene comune è il richiamo che ci fa il vangelo di oggi: dobbiamo dare a Cesare ciò che
gli spetta. Questa è “la via di Dio”. Così neanche noi possiamo essere “colti in fallo “ come dice il vangelo.

04/10/2021 – S. Francesco d’Assisi

Mt 11,25-30
In quel tempo Gesù disse:

 

 

«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua
benevolenza. 

 

Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

 

Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e
imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Nel Vangelo di oggi, Gesù ci ricorda che Dio parla ai piccoli, ai miti e agli umili di cuore.

Se vogliamo poterci mettere in ascolto di ciò che Dio ha da dire sulla nostra vita e sulla piena realizzazione di noi stessi, dobbiamo farci piccoli, metterci all’ultimo posto e stare con gli ultimi.

Questo messaggio è l’opposto di ciò che ci viene detto dalla cultura del mondo, che ci spinge a primeggiare e a farci apparire forti, spesso a discapito di chi è più povero, ma questa Parola del Signore è quella che tanti santi hanno fatto propria.

Un grande esempio è S. Francesco d’Assisi, che ricordiamo nella giornata di oggi: egli ha incarnato pienamente i valori dell’umiltà e della povertà, si è fatto piccolo tra i piccoli e povero tra i poveri e così facendo ha realizzato in pienezza la propria vita. 

Egli ha rinnovato la Chiesa, che in quel tempo era caduta nei vizi, nella ricchezza e nel potere, riportandola ai valori autentici del Vangelo e la grandezza della sua missione è viva ancora, oggi più che mai, e lo sarà per sempre.

Come ci sentiamo quando ascoltiamo una parola del Vangelo? Ci sentiamo dotti e sapienti o ci riconosciamo piccoli e bisognosi di imparare a vivere come Gesù?