“Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele.” (Luca 2,19-35).
La benedizione al Tempio del figlio primogenito é un rito fondamentale nella cultura e religiosità ebraica, sin dai tempi di Mosè. É una benedizione che riguarda il figlio ma anche i genitori che sono chiamati ad accompagnarlo alla fede.
Anche Maria e Giuseppe compiono questo rito. É il segno di un affidamento al Signore del Figlio Gesù, a cui Simeone, da anziano e uomo pio, aggiunge parole di benedizione in quella che noi conosciamo come il Cantico di Simeone, che recitiamo prima del riposo.
Simeone oltre ad essere un uomo di fede é un profeta benedicente perché indica la strada verso la quale Gesù sarà chiamato ad incamminarsi.
Le parole di Simeone sono molto forti e un po’ destabilizzano Maria e Giuseppe che sono stupiti di questa benedizione e delle parole conclusive di Simeone. Sono parole che testimoniano che Gesù, il Cristo, il Messia e messaggero di D-o, il Figlio del D-o vivente, é qui per la caduta e la resurrezione di molti in Israele ed é segno di contraddizione.
Sono parole che nel tempo di Natale ci scuotono dall’irenico sapore di un tempo natalizio dove tutti dovremmo, si dice, diventare più buoni. Eh no! Non é proprio così. La liturgia ci mette in guardia dal sentirci a posto e legati solo ai buoni propositi.
Il Bambino della grotta di Betlemme é segno di contraddizione rispetto alla nostra incapacità di ascoltare, vedere e costruire un mondo migliore di quello che abbiamo alle spalle.
Questa é la luce del Natale, stiamone certi!
30/12/2018 – Santa Famiglia di Nazareth
“Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.” (Luca 2,41-54).
La liturgia in questa domenica del tempo di Natale ci offre la possibilità di riflettere e meditare un passo della scrittura evangelica di Luca.
É un racconto quello che ascoltiamo che non deve trarre in inganno. La vicenda di Gesù che rimane ad ascoltare, porre domande, dialogare con i maestri e dottori della Legge non é un qualcosa di strano. All’età di dodici/tredici anni un preadolescente ebreo entra nel periodo della responsabilità di vivere la fede.
E nemmeno dobbiamo giudicare superficialmente la distrazione di Maria e Giuseppe che si accorgono che Gesù non sta ritornando a Nazareth con loro.
L’Evangelo di questa domenica mette in evidenza alcune dimensioni importanti della relazione tra la nostra umanità e il nostro rapporto con D-o.
La famiglia é al centro di questa relazione, potremmo dire educativa, non solo nel vivere la quotidianità ma un quotidiano orientato al Signore, al Padre. Tutto l’Evangelo ci indica la dimensione di forte rapporto tra Gesù e il Padre, a partire dalla tradizione religiosa ebraica vissuta da Maria e Giuseppe: vivere la Pasqua, andare al Tempio, ascoltare la Parola, crescere e conoscere la Legge.
Ma l’Evangelo di questa domenica ci pone anche di fronte ad uno distacco e una dimensione altra della fede. Questo scopriamo in Gesù che quasi rimprovera i suoi genitori indicando un nuovo rapporto con il Padre. É lo stupore dei genitori ma anche il fatto che dopo l’incontro Maria conserva tutte queste cose nel proprio cuore. E così pure cogliere l’impegno di Gesù nel crescere in sapienza, età e grazia.
L’insegnamento dell’Evangelo dedicato alla Santa Famiglia di Nazareth ci invita a rimettere al centro l’impegno a vivere la dimensione di fede comunitaria ed educativa, che oggi purtroppo nella nostra realtà stiamo perdendo. La famiglia, nelle sue dinamiche quotidiane, spesso faticose, fragili, fatta di gioie e dolori, é il luogo privilegiato per cogliere la novità della Parola e della condivisione che per noi cristiani viviamo nella Eucaristia.