27/02/2020 – Giovedì settimana dell’ultima dopo l’Epifania

Marco 13, 9b-13
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe e comparirete davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro. Ma prima è necessario che il vangelo sia proclamato a tutte le nazioni. E quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi prima di quello che direte, ma dite ciò che in quell’ora vi sarà dato: perché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo. Il fratello farà morire il fratello, il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato».

«E quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi prima di quello che direte, ma dite ciò che in quell’ora vi sarà dato: perché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo».
Questo versetto è molto consolante, “non abbiate paura”: in quel momento, quando sarete in difficoltà, non preoccupatevi: è lo Spirito santo, l’amore stesso di Dio, è Dio stesso dentro di noi che ci dirà cosa dire, cosa fare e ce ne darà la forza in quell’ora.

Nessuno di noi faccia conto sulle proprie forze, ma sulla forza che viene dal Signore. Una forza che sempre ci invita e guida al perdono e all’amore … anche dei nostri nemici.
Quindi, in ogni situazione possiamo contare sulla forza dello Spirito che guida ogni nostro passo, non preoccupiamoci, non siamo soli. Il Signore Gesù ci è passato prima di noi, per dirci che è sempre con noi, qualunque siano le nostre difficoltà, non preoccupiamoci, abbiamo dalla nostra parte lo Spirito Santo che ci è di sostegno e ci indica la via da seguire e le parole da pronunciare.

In questi giorni di preoccupazione e di tensione, in comunione col nostro Arcivescovo e l’intera Chiesa diocesana, affidiamo le nostre menti e il nostro cuore alla preghiera.

Benedici, Signore, la nostra terra, le nostre famiglie, le nostre attività.
Infondi nei nostri animi e nei nostri ambienti
la fiducia e l’impegno per il bene di tutti,
l’attenzione a chi è solo, povero, malato.
Benedici, Signore,
e infondi fortezza e saggezza
in tutti coloro che si dedicano al servizio del bene comune
e a tutti noi:
le sconfitte non siamo motivo di umiliazione o di rassegnazione,
le emozioni e le paure non siano motivo di confusione,
per reazioni istintive e spaventate.
La vocazione alla santità ci aiuti anche in questo momento
a vincere la mediocrità, a reagire alla banalità, a vivere la carità
a dimorare nella pace. Amen

 

26/02/2020 – Mercoledì della settimana ultima dopo l’Epifania

Mc 12, 38-44
In quel tempo. Il Signore Gesù diceva ai suoi discepoli nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa ». Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Gesù è molto concreto nell’osservare i comportamenti esteriori degli scribi, che ne rivelano i vizi interiori; così come è osservatore del comportamento della gente che mette la sua offerta nel tesoro del tempio e nota quello di una vedova e lo commenta come se fosse una delle sue parabole.
La vedova è povera, non dà il superfluo, ma ciò di cui lei stessa ha bisogno.

Al di là dell’aspetto economico, possiamo pensare a un atteggiamento morale.
Che cosa c’è di più personale se non il tempo? Spessissimo ci sentiamo di non avere tempo, assillati dagli impegni del lavoro, dai ritmi frenetici cui siamo costretti, dalle nostre agende piene.
I figli, i nipoti, gli anziani, gli ammalati chiedono che dedichiamo tempo a loro. Di essere seguiti nei compiti di scuola, assistiti nelle malattie, assecondati nei loro bisogni, curati. Soprattutto chiedono di essere ascoltati.

In un tempo in cui sembra che prevalga il nostro bisogno di parlare, spesso di mettere noi stessi al centro dei nostri discorsi, la virtù più necessaria è la disponibilità ad ascoltare, lasciando arrivare al nostro cuore ciò che l’altro ci confida.
Dedicare tempo all’altro è dedicare la nostra vita, come la vedova del vangelo di oggi: “ha gettato tutto quello che aveva”.
Questa vedova è immagine di Gesù: anche lui dà tutto quello che ha, la sua vita, gettata generosamente nel tesoro del tempio.

E’ una proposta esigente questa: chiediamo al Signore che sia lui stesso a educarci a essere generosi come questa vedova.

O Padre, tu ci chiedi di essere generosi. Non ci illudiamo di poterlo fare con le nostre sole forze, ma ci affidiamo a te. Trasforma la nostra debolezza in forza, la nostra avarizia in generosità.

25/02/2020 – Martedì, settimana dell’ultima dopo epifania

Marco 12, 18-27

In quel tempo, vennero dal Signore Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e lo interrogavano dicendo: «Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che, se muore il fratello di qualcuno e lascia la moglie senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano sette fratelli: il primo prese moglie, morì e non lasciò discendenza. Allora la prese il secondo e morì senza lasciare discendenza; e il terzo ugualmente, e nessuno dei sette lasciò discendenza. Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna. Alla risurrezione, quando risorgeranno, di quale di loro sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Rispose loro Gesù: «Non è forse per questo che siete in errore, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio? Quando risorgeranno dai morti, infatti, non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli. Riguardo al fatto che i morti risorgono, non avete letto nel libro di
Mosè, nel racconto del roveto, come Dio gli parlò dicendo: “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”? Non è Dio dei morti, ma dei viventi! Voi siete in grave errore».

I Sadducei, che non credevano nella resurrezione, intraprendono una discussione pubblica con Gesù. Per dimostrare che, secondo loro, la vita dopo la morte sarebbe un’assurdità, si riallacciano a un passo del Deuteronomio (“L’israelita è obbligato a prendere la moglie del fratello che è morto senza lasciare figli maschi …”) e ipotizzano il caso in cui una donna abbia dovuto sposare sette fratelli …
Utilizzano un esempio paradossale, che ci mostra, però, che la loro modalità di interpretare l’aldilà è strettamente terrena, quasi fosse una continuazione materiale di questa vita.

Gesù risponde in maniera decisa: “Siete in errore!” (in altre traduzioni “Siete fuori strada”). La vita che ci attende sarà un’altra vita. Il libro della Sapienza scrive che “l’uomo è stato creato per l’immortalità” e questa potenza infinita di Dio non può che trasformare completamente la vita dell’uomo, come ha fatto con il primo risorto, Gesù. Questa immortalità non può essere una semplice continuazione della vita terrena.
Ecco il perché Gesù cita Mosè:
– Perché Dio parlò a Mosè nel roveto ardente, dicendogli che era il Dio di Abramo, di Isacco … il Dio presente nella storia, anche nella nostra storia
– Perché Dio svela ad Abramo di essere il Dio dei vivi

Forse questo brano vuole suggerirci proprio questo: il Dio che ama la vita, il Dio che entra a far parte della nostra storia e ci chiede di collaborare con Lui, non può lasciare che la nostra fragile vita umana si concluda con la morte. A noi spetta la responsabilità di ricordarci ogni giorno il valore di questa vita, di non dimenticarne la peculiarità: siamo nati per l’infinito e la nostra vita può essere più bella se ogni giorno ci incamminiamo verso l’incontro con Lui.

I versetti successivi (dal 28 in poi) rammentano proprio questo:
nell’attesa, vivete nell’Amore!

24/02/2020 – Lunedì, settimana dell’ultima domenica dopo epifania

Marco 12,13-17

In quel tempo. I capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani mandarono dal Signore Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?». Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». E rimasero ammirati di lui.

Sacerdoti, scribi, anziani, farisei, erodiani…tutti convinti di essere sapienti perchè rispettano la legge. Tutti pronti ad intrappolare Gesù parlandogli di soldi, sperando che si ponga da una parte o dall’altra dei due schieramenti pro o contro Erode e Cesare.
Stando al brano di oggi sembra che Gesù non abbia neanche mai visto un soldo tanto che chiede di mostrargliene uno per vedere cosa c’è impresso sopra.
La ricchezza fa gola a tutti, fa sentire meglio, fa sembrare tutto più semplice, tutto più accessibile. L’agiatezza permette qualche lusso in più e c’è chi arriva a non pagare le tasse per tenere per sé più denari.

Mi sembra interessante citare ciò che scrive Qoèlet nella prima lettura di oggi: “ Ho intrapreso grandi opere, mi sono fabbricato case, mi sono piantato vigneti. Mi sono fatto parchi e giardini e vi ho piantato alberi da frutto d’ogni specie; mi sono fatto vasche per irrigare con l’acqua quelle piantagioni in crescita. Ho acquistato schiavi e schiave e altri ne ho avuti nati in casa; ho posseduto anche armenti e greggi in gran numero, più di tutti i miei predecessori a Gerusalemme. Ho accumulato per me anche argento e oro, ricchezze di re e di province. Mi sono procurato cantori e cantatrici, insieme con molte donne, delizie degli uomini. Sono divenuto più ricco e più potente di tutti i miei
predecessori a Gerusalemme, pur conservando la mia sapienza. Non ho negato ai miei occhi nulla di ciò che bramavano, né ho rifiutato alcuna soddisfazione al mio cuore, che godeva d’ogni mia fatica: questa è stata la parte che ho ricavato da tutte le mie fatiche. Ho considerato tutte le opere fatte dalle mie mani e tutta la fatica che avevo affrontato per realizzarle. Ed ecco: tutto è vanità e un correre dietro al vento. Non c’è alcun guadagno sotto il sole.”

Ecco, mi sembra che questo brano esemplifichi benissimo quanto sia vano l’affanno nel procurarsi tanti beni terreni.
Ciò non vuol certamente dire vivere in povertà di mezzi, neanche Dio vuole questo per noi, ma qui Gesù non accetta l’ipocrisia di chi gli sta di fronte a sfidarlo con il problema delle tasse, che suggerisce peraltro di pagare, perché lui non è lì per risolvere questioni di carattere economico.
Egli è venuto nel mondo per dimostrare che c’è una ricchezza diversa e più grande di quella economica. E’ la ricchezza che viene dal suo esempio e dal suo insegnamento che ognuno di noi è invitato a desiderare di possedere.

Se la ricchezza è un bene desiderabile in vita, quale ricchezza è più grande della

sapienza, la quale tutto produce? (Sapienza 8:5)

23/02/2020 – Domenica del Perdono – ultima dopo l’Epifania

Luca 15, 11-32
(…) Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio
figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Quest’oggi inizio la mia riflessione partendo dal mezzo di questo brano e arrivo subito al punto: sembra che il padre non si preoccupi del fatto che il figlio sia veramente pentito o si sia convertito. Lo abbraccia e basta: che forza in questo pensiero e in questo gesto! Un perdono davvero gratuito!

Il figlio si stava facendo tutti i calcoli su come mangiare, su come stare meglio: neanche si poneva la preoccupazione di come stesse il papà. E accoglie quell’amore senza fine, beneficiando della misericordia paterna e di un banchetto conviviale.

Dall’altra parte c’è un fratello, un secondo figlio, che probabilmente non aveva conosciuto profondamente, nemmeno lui a sua volta, il padre. Rimane sconvolto dai suoi gesti: forse non è capace di aprire le braccia di fronte a questo affetto incondizionato, forse non riesce ad accettare questa novità. Ma la festa è per tutti: e in questo tutti c’è ciascuno/a di noi.

 Mi lascio accogliere dagli occhi del Padre?
 Come mi pongo nei confronti delle persone con cui accade una rottura: vado a cercarle o voglio essere ricercato/a?
 Compassione e tenerezza, meriti e mancanze: quale misura prevale in me? Perché?

 

Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tanti suoi benefici. (…)
Buono e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Egli non continua a contestare
e non conserva per sempre il suo sdegno.
Non ci tratta secondo i nostri peccati,
non ci ripaga secondo le nostre colpe.
Sal 102 (103)

22/02/2020 – Sabato della settimana della penultima dopo Epifania

Marco 8, 34-38

In quel tempo. Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, il Signore Gesù disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà. Infatti quale vantaggio c’è che un uomo
guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita? Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».

Quanta fede occorre per seguire Cristo Gesù? La stessa che il Signore ha chiesto ad Abramo. Anzi molto più forte, più decisa, più evidente, più testimoniante. A Abramo viene chiesto di credere al Signore che gli parlava direttamente. A noi è chiesto di credere a Lui che ci parla spesso attraverso la storia. A noi il Signore chiede di vivere la nostra stessa vita, attraverso una quotidiana testimonianza del suo Vangelo, nel quale c’è la nostra vita eterna.

Dobbiamo “vivere” i nostri pensieri e le nostre progettualità in funzione della Sua Parola. Se perdiamo Dio, perdiamo tutto. Se invece guadagniamo Dio, guadagniamo tutto: il presente e il futuro.

La nostra vita è una quotidiana scelta: il tutto con Dio negli incontri, nella quotidianità familiare, lavorativa e nella comunità.
Questa scelta va fatta ogni giorno, perché ogni giorno siamo tentati a scegliere noi stessi da un mondo che spesso non ricorda la STORIA come vera voce di Dio ed esige una fede forte e salda.

Il Padre ci ha insegnato a comprendere la Preziosità della vita vissuta, così che anche noi possiamo renderla strada di SALVEZZA.

O Dio, che hai promesso di essere presente
in coloro che ti amano
e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola,
rendici degni di diventare tua stabile dimora.

21/02/2020 – S. Pier Damiani

Marco 11, 27-33
In quel tempo. Il Signore Gesù e i suoi discepoli andarono di nuovo a Gerusalemme. E, mentre Gesù camminava nel tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?». Ma Gesù disse loro: «Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi». Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Diciamo dunque: “Dagli uomini”?». Ma temevano la folla, perché tutti ritenevano che Giovanni fosse veramente un profeta. Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». E Gesù disse loro: «Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose».


Nel brano di oggi Gesù, ancora una volta, vuole smascherare l’ipocrisia delle persone che ha davanti, metterli a nudo, per far conoscere quali sono le vere intenzioni del loro cuore. Infatti, nel passo di Vangelo che abbiamo letto ieri, Gesù scaccia dal tempio i commercianti, per riportare quel luogo al suo vero significato.
I capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani, forse un po’ indispettiti dal fatto che Gesù si contrapponga e si sostituisca alla loro autorità, lo fronteggiano e chiedono da dove derivi l’autorità con cui agisce. Costoro però non sono realmente interessati a intessere un dialogo con Gesù, ma mirano solamente a metterlo in cattiva luce con la folla. Gesù però non cade nel loro tranello e non cede alla tentazione di mettersi contro di loro…
Quante volte anche noi ci mettiamo in dialogo con le altre persone, ma non siamo realmente interessati ad ascoltare cosa loro hanno da dirci? Quante volte indossiamo una maschera per non mettere davvero a nudo il nostro cuore?
Come ha detto Papa Francesco: “Ma quante volte, quante volte stiamo ascoltando una persona, la fermiamo [e diciamo]: ‘No! No! Non è così!’ e non lasciamo che la persona finisca di spiegare quello che vuole dire. E questo impedisce il dialogo: questa è aggressione. Il vero dialogo, invece, necessita di momenti di silenzio, in cui cogliere il dono straordinario della presenza di Dio nel fratello”.
Preghiamo, quindi, perché il Signore possa sempre aiutarci a porci nel dialogo con gli altri con orecchie attente e cuore puro, per cogliere la bellezza della presenza di Dio nell’altro. 

20/02/2020 – Giovedì della settimana penultima dopo l’Epifania

Marco 11,15-19
Vennero a Gerusalemme e Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare coloro che vendevano e compravano nel tempio; rovesciò le tavole dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombi; e non permetteva a nessuno di portare oggetti attraverso il tempio. E insegnava, dicendo loro: «Non è scritto: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti”? Ma voi ne avete fatto un covo di ladroni». I capi dei sacerdoti e gli scribi udirono queste cose e cercavano il modo di farlo morire. Infatti avevano paura di lui, perché tutta la folla era piena d’ammirazione per il suo insegnamento. Quando fu sera, uscirono dalla città.

La filmografia, negli anni, si è potuta sbizzarrire nel rappresentare questa scena: Gesù che si arrabbia, sfodera tutta la sua forza ribaltando tavoli e scacciando venditori… Ma il punto non è porre l`accento su questo aspetto dell`umanità di Cristo che lo vede preda dell`ira come un uomo qualsiasi.
La riflessione che suscita questo brano riguarda ancora una volta la mia Fede: il mio atteggiamento nei confronti della Casa (il Tempio di Gerusalemme allora, i nostri edifici sacri adesso) è assolutamente dettato dalla fede in Colui che vi abita.
Se io riconosco Dio Padre, Signore del cielo e della terra, amore infinito, padrone della mia vita, presente nel tabernacolo attraverso il dono dell` Eucarestia, non posso entrare al suo cospetto come se andassi dal parrucchiere! E` riconoscere la sua presenza che detta il mio atteggiamento e la mia contemplazione!

In questo brano le parole di Gesù non hanno bisogno di particolare chiave interpretativa, Egli stesso rivela candidamente che la sua casa è casa di preghiera per tutte le genti; due particolari dunque: casa di preghiera e niente altro, ovvero un luogo dove incontrare il Signore nel silenzio ma anche attraverso la Liturgia, nella meditazione come nel canto liturgico, nell`arte sacra che dà forma a concetti intimi e profondi, rendendoli immediati ad ogni fedele, nella musica sacra che eleva lo spirito dalla creatura al creatore….

Tutto il resto, il rumore, la confusione, l`assenza di decoro stridono profondamente.
Casa di preghiera….per tutte le genti. Che nessuno si senta escluso quando entra nelle nostre comunità e vive con noi una celebrazione, il nostro sguardo, il nostro sorriso, il nostro gesto riveli accoglienza sempre, diffidenza mai!

Domandiamoci: come sto alla presenza del Signore, nella Sua casa?

19/02/2020 – S. Turibio da Mogrovejo

Mc 11,12-14.20-25
La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, il Signore Gesù ebbe fame. Avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi. Rivolto all’albero, disse: «Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti!». E i suoi discepoli l’udirono. La mattina seguente, passando, videro l’albero di fichi seccato fin dalle radici. Pietro si ricordò e gli disse: «Maestro, guarda: l’albero di fichi che hai maledetto è seccato». Rispose loro Gesù: «Abbiate fede in Dio! In verità io vi dico: se uno dicesse a questo monte: “Lèvati e gèttati nel mare”, senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò gli avverrà. Per questo vi dico: tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà. Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe».

Gesù parla di situazioni che a noi sembrano impossibili: noi non siamo mica Dio! Come possiamo pensare che avvenga ciò che chiediamo? E quante volte ci è capitato di chiedere qualcosa e questo non si è realizzato? Ma la condizione che ci pone Gesù è che abbiamo fede di averlo ottenuto e senza dubitare, ma credendo che quanto diciamo avviene.
Forse tutta questa certezza non ce l’abbiamo… Guardando ai santi invece capiamo che, proprio per la loro piena fiducia in Dio, hanno potuto compiere le “grandi imprese” che conosciamo.

Pensiamo anche a tante persone che riescono a mantenere un atteggiamento di serenità e di speranza in situazioni di grave malattia, di perdita del lavoro, di distacco da una persona. La domanda che sorge spontanea è: “Ma come fa ad essere così? Io al suo posto non ce la farei”. Solo la sua fede grande è capace di rendere possibile l’impossibile.

C’è poi un’altra condizione non meno importante della prima e cioè avere il cuore libero da rancori e da ogni atteggiamento che porti alla divisione dagli altri. Non siamo forse noi i primi ad avere bisogno del perdono? Se il Padre perdona i nostri peccati, come non accogliere chi ci ha provocato del male, ci ha creato delle grandi sofferenze? Per quanto sia grave l’errore compiuto, non è mai abbastanza per covare dentro di noi odio, rancore e desiderio di vendetta e spegnere la luce che brilla nei nostri occhi.

18/02/2020 – S. Patrizio

Mc 10, 46b-52

In quel tempo. Mentre il Signore Gesù partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

“Gesù, abbi pietà di me!”
Che belle queste parole di Bartimeo. Davanti al mondo e alle sue vanità che gli suggeriscono di far tacere quella voce del cuore, lui risponde alzando ancora di più il suo grido di supplica a Colui che solo può salvarlo.

Quanto siamo poveri, ma quanto siamo poco consapevoli di esserlo.
Chiediamo a Gesù di riconoscere le nostre cecità e supplichiamolo di guarirci da esse.

Bellissimo anche il versetto dove Bartimeo getta via il suo mantello e balza in piedi verso Gesù.
Dobbiamo prendere una decisione netta: buttare via le nostre sicurezze, i nostri mantelli e correre, correre dietro a Gesù, cercare il suo volto, seguirlo per sempre.
Lui ci ha salvati, ci salva e continuerà a donarci nuova vita.