“Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». “ (Marco 2,1-12).
La guarigione del paralitico non è un miracolo di Gesù. É il miracolo dei quattro barellieri che hanno calato la barella con il paralitico, dopo aver scoperchiato il tetto della casa.
La dinamica dell’azione, la folla stipata che stava nella casa, la necessità di calare il letto dall’alto, sono tutti aspetti che ci fanno capire che il miracolo non avviene solo per volontà del Signore ma perché si ha fiducia in Gesù e si vuole condividere un bisogno di guarigione.
Nel testo evangelico si comprende che nel descrivere la relazione tra Gesù e il paralitico si usa il linguaggio della resurrezione: alzati! A pensarci bene la guarigione è proprio una dimensione di recupero, di rialzarsi dal dolore, dalla sofferenza, dalla solitudine, dalla povertà.
Marco evangelista sottolinea con attenzione il fatto che Gesù è davvero autorevole nella sua missione. Ed anche per questo la nostra scelta di fede deve essere convinta.
C’è un aspetto che stona nel racconto: l’accusa a Gesù degli scribi sulla questione di perdonare i peccati. Ancora una volta registriamo la strana idea di D-o da parte delle autorità religiose. Il perdonare i peccati è superare la triste convinzione che una persona malata abbia quella condizione per un castigo ricevuto da D-o.
Il Buon D-o non castiga ma usa misericordia!
Noi siamo proprio convinti che D-o è il Signore della misericordia? Forse dovremmo fare un serio esame di coscienza!
16/01/2021 – Sabato della 1ª Settimana del Tempo Ordinario
“Mentre stava a tavola in casa di lui [Levi], anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?».” (Marco 2,13-17).
“Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati”: questa è la sintesi finale di questo racconto evangelico.
Gesù chiama Levi, esattore delle tasse (un gran brutto mestieri), riconosciuto anche con il nome di Matteo. Levi lascia tutto per mettersi alla sequela di Gesù e diventa anche testimone, subito, di coinvolgimento di altri pubblicani e peccatori. La sua conversione ci richiama ad una scelta missionaria.
Del resto la missione di Gesù è rivolta ai malati, cioè a coloro che hanno bisogno di essere guariti dalla loro poca fede. E non può che essere l’annuncio ai lontani il primo compito di che crede e vuole essere missionario.
Hanno poco da lamentarsi gli scribi dei farisei nel essere costernati dal fatto che Gesù mangia e frequenta gente lontana dalla fede. Non si può immaginare che chi è peccatore non possa tornare alla fede, né pensare che i peccatori siano condannati dal Signore.
E non si può nemmeno immaginare che la fede di chi si considera credente sia sufficiente a giustificarsi verso chi è peccatore o pretendere di essere privilegiati di fronte al Signore.
Bastare a se stessi, a livello personale e comunitario, è il male che spesso serpeggia anche oggi. Il Signore ci chiede umiltà e capacità di perdonare.
Ed infine un pensiero conclusivo: non è che Gesù abbia voluto accompagnare i peccatori e gli ultimi per far capire a quelli che si sentono a posto di convertirsi anche loro? Bah! Non è lontano dalla realtà questa conclusione. A volte i messaggi vengono indirizzati a terzi per far capire i diretti interessati!