20/11/2017 – 33ª Settimana del Tempo Ordinario

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“Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato».” (Luca 18,35-48).
Come mai un cieco lungo una strada al passaggio di Gesù, il Nazareno, si mette a gridare e chiede di riavere la vista? Come faceva a conoscere la fama di Gesù da persona che non poteva vedere?
Questi interrogativi animano il nostro pensiero di fronte ad un fatto tanto eclatante.
Gesù raccoglie il grido insistente di questo cieco, si ferma, chiede di vederlo, gli domanda di che cosa aveva bisogno, lo salva.
Sembra la sequenza di un film inedito. Ma la sostanza é vedere, vederci chiaro. Scrutare l’orizzonte. Capire la meta del nostro cammino. Cogliere il senso di affidarsi.
É proprio questo lo scopo ultimo della nostra esperienza di vita.
Vederci non é cosa semplice. Occorre essere assistiti. Per questo crediamo in Gesù, nella sua luce.
Il cieco risponde a Gesù mettendosi alla sequela e glorificando l’Altissimo. Questa é la risposta che dobbiamo donare al Signore sentendoci ogni volta risanati.

19/11/2017 – 33ª Domenica del Tempo Ordinario

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“Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.” (Matteo 25,14-30).
La parabola dei talenti é direttamente collegata alla parabola delle dieci vergini ed ha un richiamo evidente alla parte conclusiva delle Beatitudini. É in questo ambito che oggi dobbiamo ascoltare l’insegnamento di Gesù, perché esso ci permette di individuare l’indirizzo del suo messaggio, il senso del cammino, il valore dell’annuncio evangelico del regno a cui noi tutti aspiriamo.
Però la parabola cosiddetta dei talenti sembra decisamente essere legata al nostro impegno concreto, ad un tema di forte attualità oggi. Si parla di: beni, talenti, investire, guadagnare, denaro, regolare i conti, banchieri, interesse. Un canovaccio di questioni che ci domandiamo che cosa centrino con le Beatitudini e con tutta la logica del diventare poveri e piccoli, dell’abbassarsi per capire la presenza del Signore.
Potremmo dire, senza bisogno di essere smentiti, che questa parabola é praticamente e concretamente legata alla nostra vita ordinaria, quella di fedeli, laici credenti, chiamati a stare dentro e non sulla soglia delle piccole e grandi questioni umane.
Se c’é un aspetto che ci colpisce é che Gesù ci richiama al coraggio e a rischiare non ad essere credenti in pantofole. Papa Francesco più volte ce lo ha ricordato. Meglio una chiesa accidentata che una chiesa seduta in poltrona nella comodità.
Ebbene la parabola dei talenti ci dice che il Signore si fa trovare ed abita in noi se sappiamo rischiare la vita per farla diventare tempio della sua presenza. Ovvero potremmo dire ed immaginare che il Buon D-o ci dà in mano proprio tutto, ci consegna tutti i suoi beni, non solo perché li custodiamo ma affinché li moltiplichiamo. Chi non ha capito questo rimane fuori, nella oscurità, e non potrà contemplare la luce della presenza di D-o non solo in questa storia ma anche nel regno dei cieli che é già in mezzo a noi. Noi siamo figli della luce (1ªTessalonicesi 5,1-6).

18/11/2017 – Dedicazione delle Basiliche dei S.S. Pietro e Paolo

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“E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».” (Luca 18,1-8).
L’Evangelo di oggi ci offre molti spunti di riflessione per la nostra vita di fede, per orientare la nostra vita a scoprire, ogni giorno, la presenza del Signore, a riconoscerlo anima della nostra esistenza operosa.
Gesù ci invita a pregare sempre con insistenza, perché la preghiera é la fonte e la risorsa per dare senso alle nostre giornate, al nostro impegno, al nostro lavoro in tutti i campi.
E per dirci quanto importante sia Gesù ci parla ancora di persone disoneste. É un po’ un paradosso, se ci pensiamo. Abbiamo già avuto modo di riconoscere le doti disoneste dell’amministratore infedele. Oggi scopriamo che c’é anche un giudice disonesto che in qualche modo, nell’esercizio della sua attività, fa giustizia ad una vedova insistente. Il Maestro ci ricorda un principio fondamentale: se un giudice disonesto fa giustizia per insistenza di una povera vedova, volete che D-o nella sua misericordia non ci aiuti a dare risposta positiva alla nostra insistenza nella preghiera?
La giustizia del Signore fa nascere un fiore anche nel deserto, perfino dalla nostra insipienza e talvolta anche da male riesce a tramutare in bene la nostra vita. Poiché D-o nella sua misericordia é un D-o che ci ama, che é lento all’ira, ci ricorda un salmo.
C’é infine una sottolineatura finale che non possiamo trascurare e che, ogni volta che la ascoltiamo, ci inquieta.
Ma nonostante tutto questo impegno di D-o nel dare risposta alla nostra preghiera insistente, davvero troverà fede in noi? Non possiamo lamentarci di questo D-o che ci ama, nemmeno di fronte alle tragedie, alle cose inspiegabili della vita, al mistero del dolore. La vera questione é se noi sue creature siamo capaci di dare risposta alla forza del bene in tutta la nostra vita.

17/11/2017 – Santa Elisabetta d’Ungheria

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“Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva.” (Luca 17,26-37).
L’Evangelo che questa mattina meditiamo ci fa un po’ preoccupare. Gesù dopo averci detto che il regno dei cieli é in mezzo a noi ci ricorda, con un tono apocalittico, l’esperienza di Noè, la vicenda che riguarda Lot e ci parla di un futuro davvero triste e per certi versi di dolore. Ma é proprio così?
E perché mai chi cercherà di salvare la propria vita la perderà e viceversa chi la perderà, la guadagnerà?
É in questo versetto centrale dell’Evangelo di oggi che tentiamo di sondare, con le nostre forze, come siamo capaci, il pensiero di Gesù.
Non possiamo capire queste parole di Gesù se non capiamo che cosa vuol dire amare e donare la nostra vita agli altri. É nella logica del dono che si cela il perdere per guadagnare.
Si può perdere la vita in tanti modi: lasciandosi andare, abbandonando il campo, vivendo la violenza, giudicando gli altri con cattiveria e potremmo continuare.
Ma solamente nel dono di noi stessi, nell’amore senza pretendere, nella gioia affinché l’altro cresca, matura e cresce il regno di cieli e l’altro da noi diventa il segno della presenza di D-o in mezzo a noi.
Nella nostra vita il vero impegno é dedicarsi agli altri, prendersi cura degli altri, con semplicità, nella quotidianità di quello che viviamo. Non occorrono stravolgimenti. I grandi santi della storia hanno vissuto nella semplicità il loro donarsi. Imitiamoli!

16/11/2017 – 32ª Settimana del Tempo Ordinario

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“In quel tempo, i farisei domandarono a Gesù: «Quando verrà il regno di D-o?». Egli rispose loro: «Il regno di D-o non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là”. Perché, ecco, il regno di D-o è in mezzo a voi!».” (Luca 17,20-25).
Noi cerchiamo ogni giorno il regno di D-o ma restiamo disarmati di fronte al fatto che Gesù ai farisei dice che il regno non é qui o là ma é in mezzo a noi. Ce l’abbiamo sotto gli occhi e non ce ne accorgiamo. Siamo spesso incapaci, fragili, disattenti, indifferenti, ma il regno si costruisce nel modo più semplice: con amore e con la misericordia che parte dal cuore. Il regno di D-o é in noi, è dentro di noi.
Ma chi é l’Altissimo Signore che ci ama così tanto da stare dentro di noi, in mezzo a noi, nel centro della nostra vita? Solo donando la vita, amando l’altro da noi, si può riconoscere che D-o é proprio in mezzo a noi.
Ma nemmeno questo é sufficiente a farci capire il prezzo di questo amore così grande. Perché bisogna che il dono del Figlio di D-o passi per la sofferenza. Il Figlio dell’uomo deve soffrire ed essere rifiutato per farsi spazio nella nostra vita.
É incredibile il senso profondo che l’amore dischiude nella nostra vita. Perfino la sofferenza si trasforma, ci trasforma, e costruisce il regno che D-o ci ha chiesto di custodire.

15/11/1017 – 32ª Settimana del Tempo Ordinario

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“Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.” (Luca 17,11-19).
“Alzati e va, la tua fede ti ha salvato!” É questa la conclusione del racconto dei dieci lebbrosi e dell’unico che torna indietro a ringraziare Gesù. É un samaritano, uno straniero, che ringrazia D-o per il dono della guarigione.
É una guarigione strana quella dell’Evangelo di oggi e del tutto paradossale. Gesù guarisce a distanza. Anzi é la forza della energia che deriva dalla fede umile che fa guarire i lebbrosi. Ed é il colmo che uno solo, uno straniero, mentre Gesù attraversa la Galilea torna indietro a ringraziare.
Gesù si stupisce, tuttavia guarda oltre. Ripensando ai verbi finali dell’Evangelo capiamo il senso. Alzarsi é il verbo della resurrezione interiore ed esteriore. Andare é il verbo della missione e della ricerca della santità, di un luogo santo come ha cercato Abramo. Salvare é il verbo della pienezza in D-o, della protezione, del sentirsi nelle braccia di D-o.
Tutto però parte se nella nostra vita facciamo spazio, ci abbassiamo, diventiamo piccoli, consideriamo l’umiltà il centro della nostra relazione con il Signore e viviamo in Lui, con Lui, per Lui.

14/11/2017 – 32ª Settimana del Tempo Ordinario

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“Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare.” (Luca 17,7-10).
Gesù ha sollecitato i suoi discepoli, lungo il cammino verso Gerusalemme, a coltivare la fede avendo misericordia, facendosi piccoli ed umili.
Oggi, ci raccomanda ancora ad essere costanti nella missione senza avere pretese, così come una persona salariata si impegna nel lavoro fino in fondo, in modo instancabile.
Alla fine, dopo aver svolto tutto quello che dovevamo fare, siamo servi inutili, abbiamo fatto il dovuto, senza rimpianti. Saremo chiamati ad altre esperienze. In fondo non dobbiamo attaccarci nemmeno al servizio svolto. Se lo abbiamo svolto con solerzia non dobbiamo recriminare nulla alla fine del nostro servizio.
Colpisce molto quel ‘siamo servi inutili’. Don Tonino Bello diceva: siamo servi inutili a tempo pieno ovvero testimoni gioiosi che non hanno pretese.
Facciamo in modo di vivere la nostra esperienza di fede, la nostra missione di annuncio, con uno spirito sobrio.

13/11/2017 – 32ª Settimana del Tempo Ordinario

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“È inevitabile che vengano scandali, ma guai a colui a causa del quale vengono. È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. State attenti a voi stessi!” (Luca 17,1-6).
“Stiate attenti a voi stessi” é la frase centrale di questo Evangelo che ascoltiamo oggi. Il Signore ci invita a non essere motivo di scandalo per i piccoli. Dobbiamo avere il coraggio quotidiano di guardare a noi stessi, al nostro pensare ed agire non secondo il pensiero di D-o, ad usare autocritica sul quello cfr siamo e facciamo. Qui si misura la capacità di una fede genuina.
Anzi Gesù ci sollecita il perdono verso il fratello tutte le volte che questo succede, sette volte al giorno, perché il Signore va pensato con bontà d’animo (Sapienza 1,1-7) e noi possiamo fare esercizio di misericordia.
Non é poi scontato che i discepoli di fronte a questo insegnamento chiedano a Gesù di accrescere la loro fede. Ma la fede si accresce non per automatismi ma facendo discernimento quotidiano sul nostro cammino e adoperandoci in un esame di coscienza che ci liberi dal pensare solo a ciò che ci interessa. Per aumentare la fede non occorrono prove irraggiungibili, ma un semplice granello di senape.

12/11/2017 – 32ª Settimana del Tempo Ordinario

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“Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora.” (Matteo 25,1-13).
Il capitolo 25 dell’Evangelo di Matteo é collegato alle Beatitudini annunciate da Gesù che sono la novità nel suo annuncio di un tempo nuovo, di una dimensione nuova del Regno di D-o.
Il racconto delle dieci vergini, cinque pazze e cinque sagge, é la dimostrazione pratica di come non si possa o si possa vivere l’esperienza della gioia nel Signore e le sue Beatitudini.
Matteo attraverso questo racconto vuole attirare la nostra attenzione sulla capacità di dare risposta alla chiamata che D-o ci fa e che Gesù ci annuncia.
E se ci pensiamo bene questo racconto di Gesù é la traduzione pratica di come vivere la nostra vita alla luce della Parola: con le lampade accese e l’olio che le alimenta anche se poi, nell’attesa dell’incontro, un incontro nuziale di gioia, ci addormentiamo.
Siamo destinati ad addormentarci per stanchezza, per le difficoltà della vita, per le nostre fragilità, per gli imprevisti, per il dolore. É per questo che dobbiamo avere il necessario per illuminare la nostra vita.
Vegliare in fondo significa essere pronti, pronti ad accogliere ed incontrare il Signore. Noi possiamo essere strumenti di questo vegliare attraverso la gioia semplice dell’incontro con il nostro vicino, con l’altro da noi.

11/11/2017 – San Martino di Tours

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“Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti.” (Luca 16,9-15).
L’Evangelo di oggi pone al centro della nostra riflessione il tema della fedeltà e dell’essenzialità.
Quello che Gesù ci ricorda é che non occorrono grandi proclami per vivere la fede nel Signore. Dalle cose piccole e nella dimensione di una vita povera ed essenziale si misura la nostra fede nel Signore.
Essere attaccati alle cose é il pericolo che corriamo ogni giorno nel vivere una vita orientata al Signore.
Gesù ci offre un indirizzo preciso per essere persone di fede. Sta a noi costruire ogni giorno una fedeltà che ci liberi, ci svuoti delle nostre sicurezze, molto spesso legate ad appropriarci di cose più o meno materiali.
É l’esercizio quotidiano quello di ricercare nelle cose piccole, nella libertà di sentirsi poveri, la forza di far abitare D-o nella nostra vita quotidiana.