07/10/2019 – B. V. Maria del Rosario

Luca 21,5-9

In quel tempo. Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, il Signore Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine.

 
In questi giorni sto leggendo un bel libro: “La nostra morte non ci appartiene. La storia dei 19 martiri d’Algeria”. Mi ha colpito come ognuno di loro, pur vivendo in una quotidianità drammatica, perché coscienti del pericolo del terrorismo islamico che incombeva su di loro, aveva ben chiaro due cose: perché vivo? E per chi vivo?
 
Gesù chiede di non fermarci a guardare l’esteriorità del tempio, perché non è la cosa che conta di più, dato che tutto finirà. Noi siamo molto di più della nostra fisicità, dei nostri averi, del nostro arrabattarci per dimostrare di valere agli occhi degli altri!
Questi martiri avevano ben chiaro il senso della loro vita al punto che hanno scelto di restare in quella terra e di non partire.
Perché vivo? Perché sono nato da un abbraccio, quello di mio padre e mia madre, ma prima ancora dall’abbraccio di Dio!
Per chi vivo? Per portare questo abbraccio a tutti quelli che incontrano la mia umanità.
Ed è Gesù Cristo che devo seguire, nessuno altro! Essere coscienti che Lui opera nella storia, così come nella mia quotidianità, che non mi preserva dalle fatiche, dai drammi (guerre, rivoluzioni…), ma anche queste cose diventano opportunità in cui può manifestarsi un Bene più grande.
 
Perché vivo? Per chi vivo? Se la meta è chiara, posso affrontare ogni paura, perché so di non essere da solo!
Buona settimana amici!

06/10/2019 – 6ª Domenica dopo il martirio di S. Giovanni

Matteo 10, 40-42
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

Nel brano di oggi la prima cosa che mi colpisce è il verbo accogliere: in tre versetti è ripetuto sei volte.
Sembra che, in maniera molto marcata, si voglia dare una risposta ad una domanda sottintesa: “Dove e come oggi posso accogliere Dio?”
Tra tutte le frasi, mi risuona l’immagine che evidenzia il tema “dei piccoli”: che cos’è un bicchiere di acqua per noi oggi che siamo focalizzati su imprese grandi e su azioni che richiamano principalmente l’attenzione degli altri? Che importanza dà l’altro ad un gesto che ai nostri occhi appare scontato o insignificante, ma che può essere pieno di umanità?

Un sorriso, uno sguardo, un messaggio su whatsapp, una parola detta nel momento propizio: a volte nella vita ci sono incontri di pochi minuti o forse di un solo istante che lasciano una traccia indelebile … Lasciamoci stupire e accogliere da questi segni!
Appare, quindi, come significativo il fatto che davanti a Dio non contano i risultati degni da “prima pagina” o il numero di medaglie collezionate “in serie”, ma conta la sincerità dell’impegno e la passione del cuore: due tratti che parlano di santità ordinaria e di vita spesa con verità in ogni attimo.

• Quale esperienza o quale racconto mi viene in mente, se volessi descrivermi con un esempio di gratuità che ho messo in atto?
• “Non bisogna mai avere paura dell’altro perché tu, rispetto all’altro, sei l’altro”: che valore attribuisco a questa frase di Camilleri, alla luce della parola “accoglienza”?

 

Signore, beato chi abita la tua casa:
sempre canta le tue lodi!
Beato chi trova in te la sua forza
cresce lungo il cammino il suo vigore. (Sal 84)

05/10/2019 – Sabato della 5ª Settimana dopo il Martirio di S. Giovanni

Luca 22, 7-16

In quel tempo. Venne il giorno degli Azzimi, nel quale si doveva immolare la Pasqua. Il Signore Gesù mandò Pietro e Giovanni dicendo: «Andate a preparare per noi, perché possiamo mangiare la Pasqua». Gli chiesero: «Dove vuoi che prepariamo?». Ed egli rispose loro: «Appena entrati in città, vi verrà incontro un uomo che porta una brocca d’acqua; seguitelo nella casa in cui entrerà. Direte al padrone di casa: “Il Maestro ti dice: Dov’è la stanza in cui posso mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una sala, grande e arredata; lì preparate». Essi
andarono e trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. Quando venne l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio».

In questo brano si percepisce in maniera profonda e diretta la relazione che legava Gesù ai suoi discepoli: ci permette di intuire quanto il Figlio di Dio fatto uomo ha costruito con questi uomini tanto diversi tra loro, che si è scelto strada facendo e con i quali ha deciso di condividere tre anni della sua esistenza terrena, fino a quell’ultima Pasqua.

Immaginiamo il loro stupore vedendo realizzate le parole di Gesù che aveva descritto nei minimi dettagli chi avrebbero trovato entrando in città e cosa sarebbe accaduto…. Stupore davanti all’ennesima predizione? O forse si erano ormai abituati alle stranezze di questo personaggio singolare che aveva iniziato cambiando l’acqua in vino, per arrivare a guarire malati e addirittura a resuscitare i morti?

Certamente ogni sentimento contrastante, di meraviglia o incomprensione, non poteva che naufragare nell’oceano di bene puro e cristallino delle parole finali, quando Gesù rivela il suo umanissimo sentimento di profonda affezione verso questi poveri uomini, cocciuti e peccatori, con i quali vuole vivere quella cena, quell’ultima cena.

Diventa più chiaro e concreto il suo destino, in quelle parole; da tempo aveva iniziato a prepararli al distacco, cercando di spiegare loro la necessità di darsi completamente per redimere l’umanità intera…
Sapeva bene che non potevano comprendere tutto, che ogni cosa sarebbe stata chiara a suo tempo, ma in quella cena chiede davvero che il legame costruito vada oltre, oltre la morte e oltre il tempo, esattamente come accade nei legami di amore vero, sigillati dal dono totale di sé.

E noi siamo capaci di amare in questo modo? Con questa totalità?
Sappiamo relazionarci tra noi con questa profondità e libertà?
E’ possibile solo con la forza che viene dallo Spirito Santo che ci invita a domandare, là dove da soli non siamo in grado di arrivare.

04/10/2019 – S. Francesco d’Assisi

Matteo 11, 25-30

In quel tempo il Signore Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio
giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Il Vangelo di oggi ci mostra una delle preghiere di Gesù: ti rendo lode, Padre Signore del cielo e della terra.
La preghiera di Gesù è di “benedizione”, ovvero “dice bene” di Dio, è contento di lui.
La mia preghiera che tipo di preghiera è? di benedizione, di perdono, di affidamento o di richiesta? sono contento di Dio?

Gesù ci parla di una bella relazione con il Padre e vuole farci entrare in questa relazione d’amore.
Per entrare ci mostra il segreto: riconoscersi piccoli. “hai nascosto queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli”.
Il “piccolo” è una categoria biblica, è colui che non sa, che non è importante, è privo di valore e dignità, è colui che non è autosufficiente. Ma soprattutto, il piccolo è colui che si lascia condurre, colui che prende per mano il Padre e lo segue.

So riconoscermi debole e piccolo? o mi considero autosufficiente? sono capace di farmi condurre da Gesù sulla strada che Lui ha pensato per me?

“Venite a me”: ancora oggi Gesù ci chiama a seguirlo. A noi è richiesto solo di riconoscere le nostre fatiche e di metterle nelle sue mani.

03/10/2019 – B. L. Talamoni

Dio ama chi dona con gioia.
Beato l’uomo che teme il Signore
e nei suoi precetti trova grande gioia.
Potente sulla terra sarà la sua stirpe,
la discendenza degli uomini retti sarà benedetta.
Prosperità e ricchezza nella sua casa,
la sua giustizia rimane per sempre.
Spunta nelle tenebre, luce per gli uomini retti:
misericordioso, pietoso e giusto.
Felice l’uomo pietoso che dà in prestito,
amministra i suoi beni con giustizia.
Cattive notizie non avrà da temere,
saldo è il suo cuore, confida nel Signore.
Sicuro è il suo cuore, non teme,
finché non vedrà la rovina dei suoi nemici.
Egli dona largamente ai poveri,
la sua giustizia rimane per sempre,
la sua fronte s’innalza nella gloria.

 

Il salmo 111 è una composizione di taglio sapienziale, ci presenta la figura «del giusto» il quale teme il Signore, ne riconosce la trascendenza e aderisce con fiducia e amore alla sua volontà.
A questo fedele è riservata una “beatitudine”: «Beato l’uomo che teme il Signore». Il Salmista precisa subito in che cosa consista tale timore: esso si manifesta nell’essere docile ai comandamenti di Dio. È proclamato beato colui che «trova grande gioia» nell’osservare i comandamenti, trovando in essi gioia e pace.

Il cuore di questa fedeltà alla Parola divina consiste in una scelta fondamentale, cioè la carità verso i poveri e i bisognosi: «Felice l’uomo pietoso che dà in prestito… Egli dona largamente ai poveri». Il fedele è, dunque, generoso; rispettando la norma biblica, egli concede prestiti ai fratelli in necessità, senza interesse e senza cadere nell’infamia dell’usura che annienta la vita dei miseri. Il giusto, si schiera dunque dalla parte degli emarginati, e li sostiene con aiuti abbondanti. «Egli dona largamente ai poveri», esprimendo così un’estrema generosità, completamente disinteressata.

Il Salmo, accanto al ritratto dell’uomo fedele e caritatevole, «buono, misericordioso e giusto», presenta in finale anche il profilo del malvagio. Questo individuo assiste al successo della persona giusta rodendosi di rabbia e di invidia. È il tormento di chi ha una cattiva coscienza, a differenza dell’uomo generoso che ha «saldo» e «sicuro il suo cuore».

Fissiamo ora il nostro sguardo sul volto sereno dell’uomo fedele che «dona largamente ai poveri».
Ricorrendo a un altro testo biblico troviamo: “Dio ama chi dona con gioia” (2Cor 9,7), chi gode nel donare e non semina scarsamente, per non raccogliere allo stesso modo, ma condivide senza rammarichi e distinzioni e dolore, e questo è autentico far del bene.

Come trovare la felicità? Questo Salmo risponde: felice l’uomo che dona; felice l’uomo che non utilizza la vita per se stesso, ma dona; felice l’uomo che è misericordioso, buono e giusto; felice l’uomo che vive nell’amore di Dio e del prossimo.

02/10/2019 – S.S. Angeli custodi

Luca 20,20-26

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadduccei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e gli posero questa domanda: “Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello. Gesù rispose: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui”.

In questa pagina di vangelo Gesù ci insegna a intendere la risurrezione non come un generico prolungarsi della vita, ma come un accedere in definitività e pienezza alla stessa sovrabbondante vita comunionale di Dio: quella, che vive in sé come Trinità e quella che vive con le sue creature, gli angeli. Noi vi accediamo e la condividiamo come suoi figli.

La prospettiva della risurrezione, aprendoci alla vita comunionale divina, non ci annuncia solo un futuro, ma anche ci porta a una meravigliosa comprensione della vita, che conduciamo di qua, prima della morte: è essa stessa vita, che si situa nel grande grembo della comunione divina, perché questa comunione pervade tutto: ogni tempo, ogni spazio.

Riesco a vivere già da ora una tensione verso la vita piena che mi aspetta?

Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore. (Sal 26)

Annunci
 

01/10/2019 – S. Teresa di Gesù Bambino

Luca 20, 20-26
Si misero a spiarlo e mandarono informatori, che si fingessero persone giuste, per coglierlo in fallo nel parlare e poi consegnarlo all’autorità e al potere del governatore. Costoro lo interrogarono: «Maestro, sappiamo che parli e insegni con rettitudine e non guardi in faccia a nessuno, ma insegni qual è la via di Dio secondo verità. È lecito, o no, che noi paghiamo la tassa a Cesare?». Rendendosi conto della loro malizia, disse: «Mostratemi un denaro: di chi porta
l’immagine e l’iscrizione?». Risposero: «Di Cesare». Ed egli disse: «Rendete dunque quello che è di Cesare a Cesare e quello che è di Dio a Dio». Così non riuscirono a coglierlo in fallo nelle sue parole di fronte al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero.

All’interno di questo brano di Vangelo troviamo il chiaro intento di mettere in difficoltà Gesù: essi sperano che egli, appartenendo a un mondo totalmente altro, rinneghi apertamente l’autorità terrena, fornendo loro così una facile imputazione d’accusa. (Se Gesù rispondesse alla loro domanda con un “sì” si rivelerebbe un collaborazionista, un traditore del popolo; se rispondesse con un “no”, potrebbe essere accusato di ribellione).

Ma Gesù, ancora una volta li e ci stupisce, lasciando intendere con una naturalezza inaspettata che si può vivere da figli di Dio, all’interno di questo mondo. La sua risposta è, infatti, «Rendete dunque quello che è di Cesare a Cesare e quello
che è di Dio a Dio».
Come ogni frase evangelica va letta all’interno del suo contesto, va letta come una risposta scaltra (che non contraddice per esempio i passi evangelici dove Gesù dice: “Non potete servire due padroni …”), che non contrappone piano spirituale e temporale, come vorrebbero i suoi interlocutori, ma che li pone nel giusto ordine gerarchico.

Gesù fa tirare fuori una moneta (lui non la possiede … tutto sommato non è cosa che lo riguarda direttamente la questione) e mostra l’immagine che vi è impressa: Cesare. Se, dunque, questa moneta appartiene a Cesare, va a lui restituita; ma gli uomini, a chi “appartengono”? Se noi siamo immagine di Dio, a lui dobbiamo anche restituire tutto ciò che gli appartiene, tutto noi stessi.

Vivere da figli di Dio, come Lui, significa, dunque, vivere nel rispetto delle leggi terrene, senza dimenticare, che il piano di Dio, però, è più alto e più importante. Gesù ci richiama alla necessità di dare il giusto peso alle cose e alle situazioni, ma soprattutto all’importanza di vivere onestamente e correttamente in questo mondo.

La famosa “Lettera a Diogneto” diceva: “Siate nel mondo, ma non del mondo”, nel senso che non dobbiamo immischiarci con esso, cedere alle sue logiche spesso malate e perverse, però nello stesso tempo dobbiamo farne parte con onestà e rettitudine. Il cristiano non è un alienato, altrimenti non è credibile. Gesù stesso non lo era, ma ha vissuto da “uomo”, portando nel mondo, nella legge ebraica, nella tradizione, la sua novità dell’essere Figlio di Dio.

Come vivo all’interno della logica di questo mondo? Intuisco che la correttezza, l’onestà, la legalità sono essenziali per farne parte, ricordandomi, però, nello stesso tempo che io trovo senso nell’essere parte di un progetto più grande, che è la costruzione del Suo Regno?

30/09/2019 – S. Girolamo

Luca 20,9-19

Disse allora il padrone della vigna: “Che cosa devo fare? Manderò mio figlio, l’amato, forse avranno rispetto per lui!”. Ma i contadini, appena lo videro, fecero tra loro questo ragionamento: “Costui è l’erede. Uccidiamolo e così l’eredità sarà nostra!”.

In questa parabola i contadini prima cacciano i servi del padrone e poi ne uccidono il figlio, per diventare loro stessi padroni e prendersi l’eredità, cioè il comando della vigna e non c’è nessuno di loro che si oppone all’idea di ucciderlo.
Non sono bastati i profeti che si sono avvicendati nei secoli a far capire agli uomini che c’è un Padre che li ama e li accudisce; ora sono pronti anche ad uccidere il Figlio di Dio.

Mettersi al posto di Dio e decidere cose grandi, che a volte riguardano l’umanità intera, è ormai una condizione frequente per cercare di far emergere la propria potenza in campo politico, ambientale, etico. Si conta molto sulla propria influenza sul prossimo, ci si sente onnipotenti, appunto.

La voce dalla Chiesa, intesa come comunità di fedeli, e non solo come clero, è forse ancora troppo flebile nel far sentire le proprie idee su decisioni così importanti per tutti. Più nel nostro piccolo, ci si fa giustizia da sè quando ci si sente offesi oppure si vuole che altri facciano quello che vogliamo noi, a partire magari dai nostri familiari.

“Che cosa devo fare? Manderò mio figlio, l’amato, (forse) avranno rispetto per lui”.
Quel “forse” indica che il padrone spera che i contadini risparmino il figlio, lascia loro la libertà di decidere il da farsi.
Anche noi dobbiamo ogni giorno decidere il da farsi: affidarci a Dio come “pietra angolare” che tiene in piedi l’edificio del nostro agire.

“Ti rendo grazie, perchè mi hai esaudito,
perchè sei stato la mia salvezza.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta testata d’angolo;
ecco l’opera del Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.”
(Dal Salmo 118)

29/09/2019 – 5ª Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni

Luca 6,27-38
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “A voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano.(…) Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro.(…) Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio”.

La prima parte di questo brano, decisamente assai conosciuto, ribalta completamente il modo di agire che accomuna tutti . Come si fa a reagire come vuole Gesù davanti alle ingiustizie che vengono perpetrate direttamente a noi? Pare che il Signore ci inviti ad essere deboli e a lasciarci soverchiare dagli arroganti senza reagire…ha senso tutto questo?

Quello che Gesù vuol farci compiere è un passo deciso verso un cambiamento di rotta che ci allontana dal modo di intendere del mondo, per entrare sempre più profondamente nel cuore di Dio e diventare come Lui….

“Noi diventiamo quello che fissiamo”, ed è proprio Gesù a dirci come fare per intraprendere questo cammino: occorre somigliare a chi ha fatto il nostro cuore, a Dio stesso. Lui che ha plasmato il nostro desiderio più profondo ci mostra la strada per essere veramente uomini liberi, ovvero rimanere ancorati a Lui: detto così pare una cosa irraggiungibile e assai poco concreta…ma Gesù stesso ci dà la soluzione, basta ascoltarlo: “Siate misericordiosi come il Padre vostro”…

Ecco, è quel “come” che svela la strada.
Metterci davvero alla sequela di Gesù,immagine del Padre, per scoprire lo stile di vita che ci fa essere completamente uomini. Da soli è impossibile, occorre chiedere, incessantemente.

Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu sai quando seggo e quando mi alzo.
Penetri da lontano i miei pensieri,
mi scruti quando cammino e quando riposo.
Ti sono note tutte le mie vie. (Sal 138)

28/09/2019 – Sabato della 5ª Settimana dopo il martirio di S. Giovanni

Luca 5, 29-32

In quel tempo. Levi preparò al Signore Gesù un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla numerosa di pubblicani e di altra gente, che erano con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù rispose loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano».

“Gesù si presenta come un buon medico! Egli annuncia il Regno di Dio, e i segni della sua venuta sono evidenti: Egli risana dalle malattie, libera dalla paura, dalla morte e dal demonio. Innanzi a Gesù nessun peccatore va escluso – nessun peccatore va escluso! – perché il potere risanante di Dio non conosce infermità che non possano essere curate; e questo ci deve dare fiducia e aprire il nostro cuore al Signore perché venga e ci risani. Chiamando i peccatori alla sua mensa, Egli li risana ristabilendoli in quella vocazione che essi credevano perduta e che i farisei hanno dimenticato: quella di invitati al banchetto di Dio.” (Papa Francesco)

Siamo tutti peccatori, tutti bisognosi di conversione. Guai a ritenerci dei giusti o, come accade più frequentemente, meno peccatori di altri. Fiducia, umiltà, fede e tolleranza devono vivere in noi. Il cammino della conversione, per noi tutti, è continuo e ci aiuta a capire quanto cammino dobbiamo ancora fare per essere totalmente “presi” dalla grazia del Vangelo.

Guarda con paterna bontà, Dio onnipotente,
la debolezza dei tuoi figli,
e a nostra protezione e difesa
stendi il tuo braccio invincibile.