13/04/2017 – Giovedì della Settimana Autentica

“Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli disse: Prendete, mangiate: questo è il mio corpo”. (Matteo 26,17-75)
Inizia la storia della salvezza: il principio raccontato da Genesi; con la creazione Dio ha messo in opera il suo amore e l’ha portato a compimento con il dono di suo Figlio Gesù a noi. Gesù lo ha compiuto donando la sua vita secondo la volontà del Padre.
Qui il duello è duplice: esteriore e interiore. Il primo è rappresentato forse da 3 uomini, diversi per le loro scelte: lo stesso verbo della “consegna” è operato da una parte da Giuda che “tradisce” e similmente da Pietro che rinnega e dall’altra da Gesù che “si dona”. Un tradire per denaro, per delusione di aspettative, per propri interessi e tornaconto, per falsità, per opportunismo, per guadagnarci, dall’altra un offrirsi per amore, gratuitamente, per gli altri, per chi ti ha rifiutato, fino a perderti per-dono.
Il secondo è la lotta fra i sentimenti interni che in questo vangelo sono abbondanti e che ciascuno di noi prova nei momenti difficili della vita: resistere con fede o cedere per sconforto. Da una parte quelli di Gesù: tristezza e angoscia nella veglia al Getsemani e la fiducia risultante dalla preghiera “però non come voglio io ma come vuoi tu!” (Matteo 26,39), “Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà” (Matteo 26,42).
Inoltre ci sono i discepoli durante la Cena “profondamente rattristati” (Matteo 26,22), che iniziano a fare domande e interrogarsi su chi possa tradire Gesù. C’è la determinazione iniziale di Pietro che dice “anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò”, confermato dagli altri amici. Alla fine invece “uscito fuori, pianse amaramente” (Matteo 26,75), dopo essersi accorto, al canto del gallo, di aver rinnegato per tre volte, dicendo sempre più convinto “non conosco quell’uomo!” (Matteo 26,74).
C’è, poi, lo sdegno del sommo sacerdote che “si stracciò le vesti dicendo: Ha bestemmiato!” (Matteo 26,65), che sembra inorridito per le parole udite, qualcosa di impensabile, di assurdo secondo la sua logica, perciò di fronte all’evidenza elimina l’altra persona, piuttosto che rinunciare ai suoi schemi e alle sue idee.
Un altro confronto è fra la folla esultante che aveva accolto Gesù e “la grande folla con spade e bastoni” nel Getsemani per arrestarlo (Matteo 26,47) ovvero l’illusione davanti ad un re potente e la codardia della cattura notturna di un innocente “fastidioso”; se questa è la folla, la comunità cristiana come si comporta? Da un lato, la condivisione della Pasqua di Gesù insieme ai discepoli e l’ora di veglia in preghiera in solitudine con pochi amici che caddero “addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti” (Matteo 26,43); nel momento decisivo “tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono” (Matteo 26,56). Uno solo, fedele fino in fondo, che resta, contro tutti gli altri, che se ne vanno e lo lasciano, lo tradiscono, lo rinnegano. I suoi amici non sono stati in grado di accogliere l’invito di Gesù: “restate qui e vegliate con me” (Matteo 26,38), mentre Lui ha mantenuto la sua promessa: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dei giorni” (Matteo 28,20). È evidente lo scarto fra la parola detta e realizzata da Gesù, il suo silenzio di fronte alle accuse, e la fragilità, la prepotenza delle parole e l’irruenza dei gesti di Pietro e degli altri.
Siamo veramente lontani dal vivere come Gesù ha fatto. Impariamo da Lui in questo giorno. Nutriamoci della sua Parola e del suo Pane. Lasciamoci trasformare da Lui, partecipando alla sua Passione. Chiediamogli la Grazia di saper “spezzare la nostra vita” con umiltà, di donarci “fino a perderci” per amore.

09/04/2017 – Domenica delle Palme

“Il giorno seguente, la grande folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele! Ecco il tuo re viene, seduto su un puledro d’asina”. (Giovanni 12,12-19).
Ci siamo! Questo Vangelo ci ricorda l’imminenza della Pasqua, Gesù arriva a Gerusalemme, la città santa, dove si compiono i suoi ultimi giorni. Il suo ingresso è degno veramente di un re, ne sono segno la cavalcatura e la lode ricevuta dalla folla che lo acclama. Ma la amara constatazione dei farisei ci fa porre attenzione al comportamento della folla che si attendeva un nuovo re potente e grande per Israele, per questo lo segue, “Ecco, il mondo è andato dietro a lui” (Giovanni 12,19). Sappiamo, invece, in che modo nei capitoli successivi, Giovanni mostrerà la regalità di Gesù: sul trono della croce, con una corona di spine… Qui per ora sembra tutto bello, eppure questo è il preludio della Passione di Gesù, che vivrà da solo, abbandonato dai discepoli e senza la folla intorno, solo con Maria e il discepolo amato sotto la croce. L’altro Vangelo del giorno, l’unzione di Betania, proclamato nella celebrazione eucaristica senza la processione delle Palme, ci ricorda la stessa cosa, grazie alle esplicite parole di Gesù: “lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della sepoltura.” (Giovanni 12,7): come il profumo di nardo assai prezioso è sparso per la stanza, così la vita di Gesù è spezzata e offerta per tutti gli uomini del mondo. Lo “spreco” messo in atto della donna rimanda al dono totale e gratuito dalla croce, dono folle, impensabile, immeritato, esposto al rischio del rifiuto, dell’abbandono, dell’ingratitudine. Gesù, Servo fedele, compie le promesse dell’Antico Testamento, sopportando le sofferenze subite ingiustamente, si spoglia della sua regalità divina, per condividere il dolore umano e addossarsi le nostre colpe, liberandoci dal male. Non ha “misurato” o calcolato, ha dato tutto e in abbondanza.
Non ci resta che prepararci a vivere la settimana autentica pensando al dono per noi gratuito del perdono, pagato dal Figlio nella Passione. Ancora mettiamoci in ascolto della Parola per conoscere la Verità di Gesù, per abbandonare la nostra idea di Dio forte e potente, e chiederci se siamo disposti solo ad accoglierlo festanti ed esultanti o anche di accettarlo ed accompagnarlo anche sulla via dolorosa del Calvario.

02/04/2017 – 5ª Domenica di Quaresima

“Io sono la resurrezione e la vita, chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno. Signore io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo.” (Giovanni 11,1-53).
Mi sembra molto bello questo Vangelo, è davvero un lieto annuncio! Mi chiedo dove stia il problema… sicuramente la malattia e la morte di un fratello o di un amico, se pensiamo alla prospettiva di Gesù di cui gli altri osservano: “Guarda come lo amava!” (Giovanni 11,36); poi, la questione – sempre faticosa per noi – della fede in Dio, che è Dio della vita e non della morte: c’è chi crede in Gesù (Marta, Maria, molti dei giudei) e chi decide di ucciderlo (i capi dei sacerdoti e i farisei Giovanni 11,53). Si tratta, penso, proprio di un anticipo della Pasqua. Sappiamo che l’unica vera resurrezione è vissuta da Gesù, invece per Lazzaro e per pochi altri uomini nel vangelo si tratta di un ritorno in vita che si concluderà comunque con la morte. Però dice inequivocabilmente da che parte si schiera Gesù, ovvero con il Dio della vita! Ecco allora la potenza di Dio, manifestata nella pasqua ebraica, che permette il passaggio del Mar rosso e la fine della schiavitù sotto il faraone (Esodo 14,25-31), trova la sua piena realizzazione nella vittoria definitiva del nemico più grande dell’uomo: la morte. Gli ebrei già credevano nella resurrezione, infatti lo dice esplicitamente Marta a Gesù “so che risorgerà nella resurrezione dell’ultimo giorno” (Giovanni 11,24), ma l’incredibile è Gesù: “Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chi vive e crede in me, non morirà in eterno” (Giovanni 11,25-26). Questo è il significato della “potenza di Dio”, un Dio che per amore si commuove (come Gesù “ancora una volta commosso profondamente si recò al sepolcro” Giovanni 11,38) e non lascia i figli nella morte e nella disperazione, promettendo che la morte non sarà la fine. Chiaro, allora, ciò che Paolo ha sperimentato, capito, trasmesso ai cristiani di Efeso: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati” (Efesini 2,4-5). L’amore misericordioso del Padre è grande, potente e soprattutto GRATIS (= per la Grazia), noi non gli dobbiamo nulla, e non c’è nulla che possiamo fare per meritare la salvezza perché è dono offerto a tutti!
Preghiamo e ringraziamo il Signore per questo dono che ci ha promesso e ha già realizzato per noi, per liberarci dalla paura della morte! La morte anche se fa parte della nostra esperienza non ci terrà mai in suo possesso, se ci affidiamo a Lui e se crediamo nel suo amore! Possa crescere in noi il desiderio di essere amici di Gesù come lo erano Lazzaro, Marta e Maria, perché è la relazione con Lui che ci salverà! Con Lui sarà veramente vita nuova, già ora! Pregustiamo la gioia della Resurrezione per vivere già qui una vita eterna, trasformata e liberata. Dedichiamo tempo all’amico Gesù e agli amici cari, magari condividendo un momento di preghiera.

26/03/2017 – 4ª Domenica di Quaresima

“Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che Mosè ha parlato con Dio; ma costui non sappiamo di dove sia.” rispose: loro quell’uomo: Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta.. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla.” Gli replicarono: sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?” (Giovanni 9,1-38).
Siamo nel cuore del tempo verso la Pasqua, la Chiesa ci invita decisamente a cambiare il passo! Lo fa offrendoci il racconto che coinvolge quest’uomo, cieco dalla nascita, che torna a vedere dopo l’incontro con Gesù, sconvolgente e concretissimo, che gli cambia la vita, letteralmente! Sembra un miracolo inaudito e impossibile: “Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato” (Giovanni 9,32), ma al centro c’è il cammino di conversione che è lo stesso che dobbiamo fare anche noi: da non conoscere Gesù al riconoscerlo Dio; per quell’uomo, dapprima, Gesù è un semplice uomo, poi un profeta, infine Signore! Al termine di questa vicenda l’uomo esclama: “Credo, Signore!” (Giovanni 9,38), mentre quelli intorno a lui sembrano restare increduli, non accettano la sua testimonianza, anzi la mettono proprio in dubbio, fino a non riconoscerne nemmeno l’identità, “ma i Giudei non credettero di lui che era che fosse stato cieco e che avesse recuperato la vista” (Giovanni 9,18).
In questo ricco brano di Giovanni c’è tutto per capire chi è Gesù: Figlio dell’Uomo, Signore, Signore del sabato, Luce del mondo. Gesù è venuto per ridare la vista ai ciechi, per guarire, perdonare, donare libertà e vita nuova alle persone che si lasciano incontrare da Lui. È venuto a portare a compimento la creazione, “sputò per terra, fede del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco” (Giovanni 9,6), a togliere il velo che impediva la vista di Dio, a mostrare definitivamente la Gloria di Dio, Padre della vita, iniziata già nel popolo di Israele con i patriarchi e Mosè e i profeti. Il Mistero di salvezza appena iniziato e imperfetto ma già glorioso, con le dieci parole donate al Sinai (Esodo 34,27-35,1), ora trova pienezza nella Parola divenuta Uomo, che donerà la vita per ogni uomo. Non abbiamo, quindi, solo leggi da rispettare, quelle nella prima Alleanza, ma vivere amore e misericordia verso tutti, con la Nuova Alleanza realizzata da Gesù.
In questa settimana chiediamoci quali sono i nostri ostacoli che causano la fatica nel credere al Signore, qual è il velo che dobbiamo ancora rimuovere che ci impedisce di conoscere Gesù come Figlio di Dio Padre. Ripercorriamo, invece, i doni di Grazia che ci hanno aiutato a vedere Gesù nella nostra vita, gli incontri e le testimonianze che ce lo hanno fatto conoscere; cerchiamo quei segni di conversione, avvenuta in noi e nei fratelli accanto a noi, che ci aiutino a camminare nella fede. A che punto siamo nel nostro cambiamento di sguardo verso gli altri? ancora giudichiamo i peccati e non ci apriamo alla misericordia?

19/03/2017 – 3ª Domenica di Quaresima

“In quel tempo. Il Signore Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi».” (8,31-59).
Il Vangelo di Giovanni non è mai facile, da capire, figuriamo da vivere! Eppure abbiamo sentito questo brano molte volte, ma la questione è davvero centrale per un cammino di conversione: a chi diamo ascolto? Di chi ci consideriamo figli? Ne va della nostra vita, della nostra libertà, della fede.
I giudei avevano creduto a Gesù! e Gesù chiede loro di restare saldi alla sua parola. Mi chiedo: perché è così difficile per loro capire? Credo che qui il punto dolente è la loro (e nostra!) presunzione di sapere. Gesù chiede loro l’ascolto, la fedeltà, l’azione di vita coerente con le parole ascoltate, Parole che arrivano dal cuore del Padre. Gesù è venuto per farci conoscere la volontà di Dio che è Padre e che non si stanca di amare i suoi figli. “Il figlio resta sempre (nella casa del Padre)” (Gv 8, 35): Gesù è sempre fedele a Suo Padre, in lui non c’è spazio per un’altra parola, quella che divide, quella che inganna, quella che assoggetta, quella del diavolo. La sua vita si conforma a quella di Dio; dice Gesù “Io lo conosco e osservo la sua parola” (Giovanni 8,55).
I Giudei protagonisti nel Vangelo di oggi sembrano in netta contrapposizione alla fede di Abramo raccontata da Paolo che ci ricorda anche la giustizia, la benedizione e la figliolanza di Abramo: “come Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia, figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede … In te saranno benedette tutte le nazioni … Il giusto vivrà per fede.” (Galati 3,6-14). La stessa fede che ha mosso Mosè all’incontro personale con il Dio liberatore che chiede di diventare Alleato “ecco io stabilisco un’alleanza” (Esodo 34,10); Mosè ha ricevuto la Legge, primo passo per essere alleati con Dio, quella legge, se il cui significato non si comprende, che rischia di diventare una catena. È Gesù che ci aiuta a interpretare la Parola di Dio, Lui stesso è Parola vivente di Dio, ci ha mostrato la Sua Verità, cosa significa essere figlio, ricevere da Dio e donare a ciascuno amore. “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse ai pagani e noi, mediante la fede, ricevessimo la promessa dello Spirito” (Galati 3,13-14).
Diciamocelo, nessuno di noi saprebbe rispettare la legge alla perfezione, tutti noi siamo peccatori, rischieremmo quindi di essere tutti schiavi del peccato… a meno di affidarci all’amore misericordioso del Padre e al Figlio che, unico, gli è rimasto fedele fino alla morte di croce, dove è avvenuto il nostro riscatto. La nostra libertà è resa possibile dall’amore di Dio; noi siamo liberi davvero quando, rispondendo all’amore di Dio, siamo in grado di amare gli altri, come Lui ci ha amato, perché non rispettiamo solo un precetto, ma siamo entrati nella vita divina, come un figlio impara a vivere guardando alla vita del padre.
Per non fare in modo che restino parole astratte, domandiamoci se ascoltiamo veramente le parole di Dio e se da esse ci lasciamo cambiare oppure seguiamo altri modelli nella nostra vita, riflettiamo sulla nostra presunzione di essere a posto, perché ci sembra di credere in Dio, andare a Messa, essere buoni cristiani della domenica. È ora di rimettere mano alla nostra fede, di rivedere la nostra relazione con Dio si basa sulla fiducia o sul rispetto di una regola. Chiediamoci anche se la Verità del vangelo a volte ci turba e ci sentiamo chiamati in causa tanto dal desiderare di “mettere a morte “ Gesù anche noi e fare di testa nostra.

12/03/2017 – 2ª Domenica di Quaresima

“Dammi da bere. … Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?
Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete, ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna. Signore, dammi quest’acqua perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere.
Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete. Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e compiere la sua opera.” (Giovanni 4,5-42).
Dopo solo un giorno di digiuno nel primo venerdì quaresimale, l’immersione nella scena del Vangelo odierno sembra più facile: l’incontro inizia con un “dammi da bere” (Giovanni 4,7); richiama quel “ho sete” durante la Passione. La sete ricorda l’esigenza di Gesù di salvare tutte le persone, gli incontri che fa Gesù, infatti, vogliono condurre alla salvezza. Il motivo per cui è stato inviato dal Padre è questo! Dio vuole che tutti siano salvi per Amore. Perciò ci rendiamo subito conto che l’acqua e il cibo al centro del dialogo e dei fatti (Gesù- donna samaritana- le provviste dei discepoli) giocano su un doppio livello di profondità: i bisogni concreti contingenti e reali da una parte e dall’altra i desideri più radicati in fondo al cuore delle persone di eternità e salvezza, di vita piena di bene, di relazioni autentiche, di rispetto e amore. La samaritana avrebbe volentieri evitato non tanto la fatica dell’attingere acqua al pozzo, ma la situazione imbarazzante e carica di giudizi della gente su di sé, celata nell’andare al pozzo. A chi si lascia incontrare e accetta di entrare in dialogo con Gesù, Egli fa dono di rivelarsi (“Io sono, che parlo a te” Giovanni 4,26): è evidente il richiamo all’incontro con Mosè nel roveto ardente, anticipo e condizione di quel rapporto di Alleanza che si stabilisce sul Sinai tramite il decalogo che abbiamo ascoltato nella lettura di Esodo 20, 2-24. Anche in questo caso Dio ha provveduto alla salvezza del suo popolo, donando parole di vita. Il decalogo sono 10 parole concretissime che contengono preziose indicazioni per la vita liberata dalla schiavitù dell’Egitto, che dicono la cura di Dio per Israele. Solo Gesù è capace di conoscere fino in fondo la verità delle esigenze di ciascuno, quanto è evidente nel dialogo con la samaritana! Qui inizia la dinamica bella della testimonianza: molti hanno creduto per le parole della donna, ma una volta incontrato personalmente Gesù, grazie a Lui hanno creduto, perchè probabilmente hanno sperimentato l’umanità e l’amore di Gesù!
La liturgia ci richiama oggi ad una fede non intimistica, ma personale, non per forza diretta, ma anche mediata da testimoni, l’importante è che sia una relazione autentica con Cristo che trasformi la nostra vita concreta perchè segua la sua Parola.
Chiediamoci in questa settimana, allora, qual è la qualità della nostra relazione con Dio e con gli altri che incontriamo: se si tratta di una fede fatta di abitudine, di apparenza, se basiamo i nostri incontri sulla superficialità dei discorsi, sui pregiudizi, allora è tempo propizio per la conversione! Cerchiamo di entrare in profondità di noi stessi, nella preghiera con Dio, nelle relazioni quotidiane ed evitiamo falsità, pregiudizi, condanne…

05/03/2017 – Domenica all’inizio di Quaresima

“Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato 40 giorni e 40 notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: “se tu sei il Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane.” Ma egli rispose: sta scritto: non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.” (Matteo 4,1-11)
Anche Gesù come ogni uomo alla fine è stato tentato: di mettere davanti a tutto la potenza della sua parola creatrice e dirigere a proprio favore gli eventi e le cose; di presentarsi come un dio forte e potente che comanda e che si fa servire; di diventare padrone del mondo e possedere ogni angolo della terra. Ricordandosi di essere Figlio di Dio, avendo nel cuore la Parola di Dio, accompagnato dallo Spirito, ha scelto di vivere la fedeltà a Dio Padre che è Amore e non seguire Satana che è divisione. Conosciamo tutti, invece, quali sono le nostre tentazioni, forse non tanto diverse da quelle di Gesù: affidarci alla sicurezza delle cose concrete e dei nostri progetti, usare la nostra autorità per far vedere quanto valiamo e siamo bravi, essere i primi a cui gli altri devono dire grazie, invece di metterci noi al servizio. La più grande tentazione è illuderci di bastare a noi stessi. Ecco perché la prima lettura ci suggerisce un sano digiuno (4 volte nei primi versetti): togliere il superfluo e tornare all’essenziale, dimenticare la ricchezza delle cose e dare priorità alle persone, togliere l’ingiustizia e aprire il cuore a Dio e ai bisogni concreti degli altri (Isaia 58,6-7). Perciò oggi inizia la nostra quaresima, il tempo della riconciliazione, “ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza” (2Corinti 6,2): questo è il nostro Xαἱpὁs = tempo favorevole. Deponiamo le armi nei confronti di Dio, togliamo il sospetto che Dio ci voglia privare di qualcosa, ci voglia suoi burattini, ci voglia rendere la vita meno divertente. “Lasciatevi riconciliare con Dio” dice san paolo a ciascuno di noi (2Corinti 5,20). Come Israele e Gesù nel deserto hanno scelto chi servire (“il Signore tuo Dio adorerai, a lui solo renderai culto“ Deuteronomio 6,13), così oggi la nostra vita ci mette alla prova e ci chiede quotidianamente di decidere da che parte stare, se servire Dio con gioia oppure seguire tutte le altre seduzioni del mondo.
Adorare significa “portare alla bocca”: chiediamoci chi mettiamo al primo posto nella nostra vita, di cosa ci nutriamo quotidianamente: se dei video su Facebook, se di certe opinioni gridate in tv, se delle dicerie e dei pregiudizi, se solo dei nostri interessi. Interroghiamoci sulle risposte che escono “dalla nostra bocca” e dalla nostra vita: sono colme di Spirito e della Parola di Dio come quelle di Gesù? Iniziamo questa prima settimana dedicando un tempo buono all’ascolto della Parola, decidiamo un gesto concreto di condivisione verso un fratello in difficoltà, disponiamoci al servizio delle persone a noi vicine per iniziare il vero digiuno gradito a Dio.

26/02/2017 – Ultima Domenica dopo l’Epifania

“Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. (….) Egli si indignò e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo: Figlio, tu sei sempre con me, ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. (Luca 15,11-32)
Non si può fare un commento breve per la liturgia di oggi, impossibile, meriterebbe un’esegesi approfondita per la ricchezza della parabola del Padre misericordioso e della lettura di Osea, tuttavia devo anche rilevare che non c’è niente di più bello di dovermi ricredere per qualcosa che ho detto, soprattutto se è la Parola che me lo fa fare! Dicevo che dopo la Resurrezione e il perdono non c’era niente di più sorprendente, beh, la lettera ai Romani ci ricorda che alla fonte del perdono c’è l’amore di Dio Padre che ci ha inviato il Figlio, rendendo possibile ciò che umanamente è impossibile! Ho aggiunto ciò che mi mancava. Ma il cuore di Dio, invece, è sempre lo stesso, carico di attesa sperando in un nostro ritorno a lui, dopo il peccato: la sposa di Osea e il figlio minore “ritornano” (Osea 2,9 e Luca 15,17) al marito e in sé, per ritornare a Dio. Riflettevo sulle relazioni messe in gioco nella liturgia: marito-moglie e padre-figlio, la sacralità dell’Alleanza nuziale come segno dell’unione fra Dio e Israele, la relazione trinitaria fra il Figlio e il Padre a cui, tramite lo Spirito di Amore, anche noi siamo invitati a partecipare. Se ai nostri giorni la relazione coniugale talvolta vacilla, il legame genitori-figli è l’unico che mai potrà venire meno! E solo l’amore di Dio è veramente fedele e gli sposi cristiani e l’amore dei genitori verso i figli lo rendono ancora ancora visibile. Che bello sapere che i nostri genitori, come fa Dio Padre, stanno sull’uscio di casa ad aspettare un nostro ritorno e, dopo che ne abbiamo combinata una grossa, sono pronti a preparare per noi una grande festa e accoglierci e baciarci (Luca 15,20)! Stupendo il pensiero di Osea che, pur essendo tradito, ha nel cuore il progetto di tornare a sedurre di nuovo la moglie, perché sia “sposa per sempre” (Osea 2,21).
La legge nuova di Dio è amore incondizionato, senza misura, giusto, fedele; il cuore di Dio batte per noi poveri – letteralmente misericordia= miser (povero)+ cor (cuore) – e batte perché è vivo e soffre per noi che, peccando, letteralmente ci smarriamo e siamo condotti alla morte. Batte allo stesso modo e si commuove (aver compassione = movimento delle viscere materne) per tutti i suoi figli, sia per chi lo tradisce andandosene, sia per chi rimane senza aver ancora compreso veramente il suo amore; verso ciascuno di noi fa tutto quello che può per volerci bene.
Nella domenica del perdono, pensiamo ai nostri peccati, sapendo che Dio può cancellarli, prima ancora che ci lasci la possibilità di dirglieli tutti, perché è già pronto a perdonare prima del nostro timido tentativo di rimediare, perché ci ama e non perché siamo bravi noi. La gioia di Dio che ci perdona e fa festa sia per noi il motivo per il proposito di non peccare, di accogliere nuovamente l’amore che ci viene donato. Prepariamoci all’inizio del tempo quaresimale intuendo l’occasione che Dio ci dona, perchè aspetta solo un nostro passo di riavvicinamento! Proviamo poco alla volta a chiedere scusa per le nostre mancanze alle persone che abbiamo ferito, disponiamo il nostro cuore al perdono verso coloro che ci hanno deluso, tradito, offeso, in modo da non cadere nello stesso errore del fratello maggiore che si indigna, non perdona il fratello e non ha saputo vivere la stessa gioia del Padre.

19/02/2017 – Penultima Domenica dopo l’Epifania

“Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio … Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra… tuttavia si alzò e disse loro: chi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei. Quelli udito ciò, se ne andarono uno per uno. Lo lasciarono solo e la donna era là in mezzo. … Donna dove sono? Nessuno ti ha condannato? .. Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più” (Giovanni 8, 1-11)
Sinceramente non credo ci sia, dopo la Resurrezione, nulla di più sconvolgente, immeritato, fuori dal comune, del perdono! Anche Paolo ha sperimentato questa novità: da osservante ebreo e accanito persecutore dei cristiani, è stato amato e perdonato da Gesù; sa bene la differenze fra l’essere dipendenti dalla legge e l’essere liberati dalla Grazia (Romani 7,6). Infatti, se c’è una novità portata da Gesù Cristo è questa “legge di amore”, che in effetti sembra un controsenso e lo è: Gesù ci ha fatto capire che la legge può rendere schiavi, ma se si comprende il vero significato della regola, si vive il rispetto per la persona che ci sta davanti. Lo vediamo proprio in questo incontro con la donna adultera: Gesù non giudica in modo categorico, secondo la legge mosaica che prevedeva la lapidazione per la donna adultera, ma nemmeno ne cancella il significato, invece offre alla donna un’altra possibilità, nel silenzio le fa sentire il peso dell’errore e l’apertura accogliente. Frasi lapidarie e diventate proverbiali quelle che Gesù pronuncia: “chi è senza peccato getti per primo la pietra”. “Va’ e d’ora in poi non peccare più”: immagino che la donna si sia sentita rigenerata, compresa, amata e, riconosciutasi evidentemente peccatrice, penso abbia provato a cambiare vita.
Se oggi è possibile per noi incontrare Cristo, di certo è nel perdono, grazie allo Spirito di Amore che guida e sorregge la Chiesa, che ci fa conoscere un Dio che è Padre misericordioso. Lo ricorda continuamente Papa Francesco alla nostra Chiesa: la misericordia sia architrave che la sorregge, ciascun cristiano sia testimone di misericordia perché per primo è stato perdonato, “perché tutta la terra sappia che tu sei il Signore, nostro Dio” (Baruc 2,15)
A noi spetta di riconoscerci peccatori, invocare con fiducia il perdono, certi che Dio è pronto ad ascoltarci, essere pronti a cambiare vita per amore, provare ad essere testimoni della “seconda opportunità” ricevuta e imparare a concederla agli altri! Quanto è difficile in certe circostanze ….. “Ascolta, Signore, la nostra preghiera, la nostra supplica, liberaci per il tuo amore!” (Baruc 2, 14)
Mi permetto un piccolo suggerimento: leggiamo la lettera apostolica “Misericordia et misera” scritta da Papa Francesco a conclusione dell’anno giubilare; le prime pagine sono proprio dedicate al perdono per la donna adultera! “il perdono è il segno più visibile dell’amore del Padre che Gesù ha voluto rivelare in tutta la sua vita” (n. 2)

05/02/2017 – 5ª Domenica dopo l’Epifania

“Vi era un funzionario del re che aveva un figlio malato a Cafarnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea alla Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. Gesù gli disse: se non vedete segni e prodigi, voi non credete… Va’, tuo figlio vive. Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. … Questo fu il secondo segno…” (Giovanni 4,46-54).
Se penso ai miei tempi e ai tempi di Gesù la difficoltà dell’aver fede è sempre la stessa: credere ad una promessa; forse oggi potrebbe essere più facile, perché, in Gesù, Dio ha mantenuto e realizzato tutte le promesse, ma Abramo in base a cosa ha creduto, millenni prima di Gesù? La sua giustizia è aver avuto fede in Dio in principio. Devo ammettere che ai miei occhi oggi Dio è sicuramente credibile come “colui che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che non esistono” (Romani 4,17). Noi sappiamo oggi che la lettera ai Romani dice il vero, se pensiamo ad Abramo “eredi si diventa in virtù della fede perché sia secondo la grazia e in tal modo la promessa sia sicura per tutta la discendenza” (Romani 4,16). E questo ci fa intuire la verità espressa anche in Isaia: “io porrò in essi un segno…. così dureranno la vostra discendenza e il vostro nome” (Isaia 66,22).
Il vangelo è chiaro: Dio non lascia i suoi figli nella morte, ma vuole per noi una vita di risurrezione! Tante volte incontro persone, ragazzi, che si chiedono perché Gesù non resuscita ancora oggi i nostri cari…ecco la difficoltà di oggi sta nel credere che sia ancora possibile, perché non ci accontentiamo di sapere che sarà per l’ultimo giorno o che Dio ci attende per una vita eterna con lui. Giovanni, infatti, scrive il suo Vangelo presentando i “segni” della presenza di Dio: dopo le nozze di Cana, questo è il secondo in Galilea ed altri ne seguiranno. Anche Gesù sa bene questo: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete” (Giovanni 4,48), ma il Signore non si stanca mai di presentarsi a noi come Signore della vita, Dio dei viventi, Dio dei padri, non Signore della morte…. “Va’, tuo figlio vive.” (Giovanni 4,50).
Oggi la Chiesa ambrosiana ricorda la Giornata della Vita: facciamoci portavoce del Dio della vita e affidiamo a Lui tutte le mamme in attesa magari nel dubbio se rifiutare una vita che portano già in grembo, preghiamo per le famiglie che aspettano la nascita di una nuova creatura; ringraziamo per la nostra vita ricevuta in dono, preghiamo per le vite in pericolo di morte, chiediamo protezione per le vite di persone in difficoltà.